“Operazione Leonidi bis”, 13 arresti per mafia e droga (i nomi, video e foto)

Redazione

| Pubblicato il venerdì 02 Agosto 2024

“Operazione Leonidi bis”, 13 arresti per mafia e droga (i nomi, video e foto)

Emblematico il conflitto generazionale tra la “vecchia mafia” dei “grandi” e la “mafia giovane”
di Redazione
Pubblicato il Ago 2, 2024

Nell’ambito dell’operazione “Leonidi bis”, oltre 100 Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, stanno eseguendo, nelle Province di Catania e Agrigento, un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Capoluogo etneo, a carico di 13 indagati, accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti, soprattutto di cocaina.

In carcere: Salvatore Battaglia, 58 anni di Catania; Giuseppe Caruso, 38 anni di Catania; Gabriele Gioacchino Cigna, 20 anni di Canicattì; Santo Di Bella, 32 anni di Catania; Carmelo Di Silvestro, 47 anni di Catania; Salvatore Gurrieri, 51 anni di Catania; Alessandro Simone Ingo, 28 anni di Catania; Giuseppe Pistone, 37 anni di Catania; Santo Roggio, 48 anni di Catania; Michele Spampinato, 25 anni di Catania. Ai domiciliari: Giulia Ilenia Catanzaro, 21 anni di Catania; Marco Natale Tosto, 20 anni di Catania.  

L’indagine, coordinata dalla D.D.A. di Catania e condotta dai militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania, attraverso alle complesse attività tecniche e ai delicati servizi sul campo, ha consentito di sgominare l’articolazione mafiosa della famiglia “Santapaola Ercolano” attiva nel quartiere “Villaggio Sant’Agata, proprio nel momento in cui stava tentando di riorganizzarsi, poiché indebolita da diversi provvedimenti giudiziari. 

Emblematico, al riguardo, il conflitto generazionale tra la “vecchia mafia” dei “grandi”, capace di dirigere il gruppo criminale nonostante in carcere da svariati anni, e la “mafia giovane”, irruente e avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente. 

Proprio tale spregiudicatezza sarebbe potuta sfociare in un grave fatto di sangue, impedito grazie all’immediato intervento della magistratura etnea e dei Carabinieri di Catania, che lo scorso dicembre hanno bloccato l’ala armata del sodalizio, fermando 9 soggetti, che stavano progettando l’omicidio di un esponente dell’avverso clan “Cappello – Bonaccorsi”. 

Operazione Leonidi bis

L’odierno provvedimento è frutto di una indagine avviata nel maggio dello scorso anno, coordinata dalla Procura Distrettuale di Catania e condotta dai Carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale, nel corso della quale già nello scorso mese di dicembre 2023 si procedeva al fermo di indiziato di delitto a carico di 9 soggetti legati anche da vincoli di parentela ad esponenti di vertice della famiglia “Santapaola-Ercolano”, sul conto dei quali emergevano i gravi indizi della pianificazione, in stadio avanzato, di un attentato omicidiario ai danni di Pietro Gagliano (soggetto indicato nelle conversazioni degli indagati come appartenente al contrapposto clan “Cappello – Bonaccorsi”) ad opera di alcuni personaggi di spicco dell’associazione mafiosa “Santapaola-Ercolano”(nei confronti dei destinatari del decreto di fermo, ad avvenuta conferma delle ordinanze ad opera del Tribunale del Riesame, si è proceduto con richiesta di rito immediato). In particolare, il progetto sarebbe stato originato da quanto accaduto la sera del 21 ottobre 2023 nella zona del “Passereddu”, quartiere San Cristoforo, ove – all’esito di una discussione tra appartenenti ai citati sodalizi – Pietro Salvatore Gagliano avrebbe esploso 4 colpi di arma da fuoco all’indirizzo di appartenenti alla famiglia di “Cosa nostra” catanese. Due di questi ultimi, rimasti illesi, si sarebbero immediatamente determinati a porre in essere una vendetta armata al fine punire l’affronto subito, nonostante indicazioni di segno contrario provenienti da altri esponenti del sodalizio investigato.
Nel complesso, l’attività investigativa, condotta e finalizzata grazie ad attività tecnica e ai serrati riscontri sul territorio, sarebbe riuscita a dimostrare il tentativo degli indagati di riorganizzare gli assetti dei gruppi dell’associazione mafiosa “Santapaola – Ercolano”, duramente colpita nel tempo dall’incessante azione repressiva della magistratura e delle forze di polizia. Nel corso dell’attività di indagine più volte sarebbe stato possibile apprezzare una netta distinzione tra l’azione della “vecchia mafia”, dei “grandi” (ovvero dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l’azione della “mafia giovane”, spregiudicata, irruente, avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall’altro. E proprio avuto riguardo alla posizione di diversi storici affiliati della famiglia catanese di Cosa nostra, gli approfondimenti svolti avrebbero evidenziato – allo stato degli atti e nell’attuale fase del procedimento, in cui non si è pienamente realizzato il contraddittorio con le parti – che alcuni dei sodali, benché detenuti in diversi istituti penitenziari in varie parti di Italia, avrebbero continuato ininterrottamente ad esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti. Tale ultimo aspetto dimostrerebbe l’assoluta permeabilità degli istituti penitenziari alla ricezione e all’ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive.
Tra le figure più emblematiche in tal senso, quella di Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata (unitamente al fratello Santo) e protagonista di una intensa stagione di sangue negli anni ’90, già condannato in via definitiva per il reato associativo mafioso e omicidio, che sarebbe risultato essere punto di riferimento attuale per il sodalizio criminale, capace di fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, a dispetto del suo status di detenuto. Salvatore Battaglia avrebbe ricevuto numerose informazioni durante la detenzione dai sodali liberi in modo da essere sempre aggiornato sulle dinamiche in corso e da esser in grado di impartire direttive dal carcere avuto riguardo ad incontri da svolgere con affiliati o soggetti di interesse associativo, alla gestione dei proventi delle attività illecite di pertinenza del gruppo del Villaggio Sant’Agata ed ai comportamenti, anche violenti, da tenere in talune situazioni.
Altra figura di interesse sarebbe risultata essere quella di Salvatore Gurrieri, inteso “turi u puffu”, esponente della “vecchia generazione” di affiliati: la circostanza di essere ristretto presso un istituto penitenziario del Nord Italia unitamente ad altri affiliati- tra i quali uno dei vertici dell’articolazione mafiosa- gli avrebbe conferito un preziosissimo ruolo, avendo la possibilità di ricevere e veicolare direttamente le informazioni tra i sodali liberi e i soggetti con esso detenuti e pretendere erogazioni di denaro. L’attività di indagine avrebbe permesso di accertare la indissolubilità del legame di appartenenza all’associazione mafiosa dei sodali detenuti, un legame di reciproca corrispondenza perché, se per un verso i sodali detenuti sarebbero risultati capaci di esser aggiornati sulle dinamiche della vita mafiosa all’esterno del carcere e fornire consigli o direttive ove fosse necessario, tra l’altro forti della expertise mafiosa vantata, per altro verso sarebbe stata accertata la continua corresponsione di somme per il mantenimento in carcere ai sodali detenuti (il cosiddetto “stipendio”), somme provenienti dagli affari illeciti gestiti dall’associazione mafiosa che non mancava mai di considerare quali “costi fissi” e non eludibili proprio le somme da erogare ai detenuti, a conferma e a tutela di un vincolo di appartenenza.
Ulteriore elemento di rilievo apprezzato dalle risultanze dell’attività investigativa sarebbe risultata essere la presenza di nuove figure di giovani affiliati pronti ad affiancare i sodali più anziani nella gestione degli affari illeciti, del traffico di stupefacenti in particolare. Tra questi sarebbe emerso Giuseppe Pistone, giovane impegnato e disposto a tutto pur di compiere la sua scalata nell’olimpo criminale della malavita etnea. Pistone avrebbe mosso i primi passi sulla scena criminale come autista di Andrea Nizza, soggetto apicale dell’omonimo sodalizio criminale per poi arrivare, da ultimo, sino a ricoprire ruolo di responsabile del gruppo Nizza di Librino. Successivamente all’arresto di Andrea Nizza, il Pistone si sarebbe dedicato in via prioritaria all’attività di spaccio nell’interesse e per conto del gruppo Nizza, con l’obiettivo di riportare il citato gruppo agli antichi splendori pur in assenza della forza militare di un tempo. Le risultanze investigative avrebbero consentito di delineare la figura di Pistone, in termini ben lontani da quelli di un semplice spacciatore di strada, risultando il predetto dotato di capacità e poteri organizzativi anche quale gestore di una “piazza volante”, ossia una piazza di spaccio ruotante intorno alla gestione di un’utenza telefonica, contattata da un numero indeterminato di assuntori attraverso diversi applicativi di messaggeria istantanea, quali telegram e whatsapp cui seguiva un apposito servizio di delivery degli stupefacenti curato da soggetti appositamente incaricato.


Le penetranti attività investigative avrebbero consentito di apprezzare le interazioni tra vari gruppi della famiglia di Cosa nostra etnea nonché tra detti gruppi e clan antagonisti, rivelando in più momenti gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una “corsa alle armi”.
A tal riguardo va evidenziato che proprio a margine di alcuni di questi momenti di fibrillazione venivano condotte delle attività di riscontro e controllo e, in particolare in data 19 ottobre 2022, i Carabinieri del Nucleo investigativo di Catania traevano in arresto in flagranza per il delitto di “detenzione illegale di armi e munizioni”, un 35enne catanese già noto alle Forze dell’Ordine e intraneo al “gruppo Nizza” della famiglia “Santapaola-Ercolano”. Nel frangente i militari fermavano l’uomo in viale Moncada, ove veniva trovato in possesso di un revolver Franchi, con caricatore inserito e 9 colpi calibro 38 special all’interno, nascosto nella cinta dei pantaloni. Nel medesimo contesto, gli operanti effettuavano perquisizione all’interno di un locale destinato alla raccolta dei terminali della rete fognaria di due scale di una stessa palazzina, ove rinvenivano 5 fucili da caccia, di cui tre cd “a canne mozze”, poiché artigianalmente modificati, 1 pistola mitragliatrice di provenienza cecoslovacca, 1 pistola mod. Glock modificata, 352 munizioni di vaio calibro, circa 6 chilogrammi di hashish suddiviso in panetti, un giubbotto antiproiettili, un lampeggiante blu per auto, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento, tra cui scaldacollo e guanti in pile.
Da ultimo, nell’ambito dello stesso contesto investigativo, il 20 novembre scorso, i Carabinieri avevano altresì arrestato, per “detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente” e “resistenza a pubblico ufficiale”, due soggetti i quali, all’esito di un inseguimento in territorio di Canicattì (AG), venivano bloccati e trovati in possesso di circa 1 chilogrammo di cocaina, costituente fornitura ricevuta appena un’ora prima nel capoluogo etneo e consegnatagli da alcuni degli indagati nel presente procedimento.

di Redazione
Pubblicato il Ago 2, 2024


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