A 30 anni esatti dall’archiviazione del dossier ‘Mafia e appalti’ a Palermo, su cui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone, l’inchiesta viene riaperta. Ma stavolta ad occuparsene non sono più i magistrati palermitani bensì i ‘cugini’ di Caltanissetta.
Le bocche in procura sono cucite, l’indagine è top secret, ma come apprende l’Adnkronos, il pool stragi da qualche settimana sta indagando su quel dossier dei Carabinieri del Ros, finito prepotentemente in processi importanti, come quello sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, ma anche nel più recente processo sul depistaggio sulla strage Borsellino, terminato con la prescrizione per due imputati e l’assoluzione del terzo. Tutti poliziotti del Gruppo ‘Falcone e Borsellino’.
I magistrati che coordinano l’inchiesta, tra cui Claudia Pasciuti, guidati dal Procuratore capo Salvatore De Luca, di recente hanno anche fatto i primi interrogatori. Anche quelli top secret. Tra le persone sentite dai pm Claudia Pasciuti e Pasquale Pacifico, anche se quest’ultimo non è nel pool sull’inchiesta mafia e appalti, spicca in particolare il nome del colonnello Giuseppe De Donno. Cioè, colui che allora giovane capitano, condusse l’inchiesta su mafia e appalti con il suo diretto superiore al Ros, l’allora colonnello Mario Mori.
Ma cosa conteneva il primo dossier su mafia e appalti? Tutto nasce da una delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo ai Ros dei Carabinieri che aveva come obiettivo principale quello di accertare ”la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Dunque, per la prima volta, si metteva nero su bianco che c’erano dei “condizionamenti” di Cosa nostra negli appalti pubblici. Un triangolo formato da mafia, imprenditori e politica.
“Dal contesto della presente informativa” si evidenzia “una trama occulta, sostanziata da intrecci, relazioni ed intese, volta al fine di prevaricare norme e regole e, allo stesso tempo, di giungere all’accaparramento del denaro pubblico con un’avidità mai esausta e comune sia ai malfattori mafiosi che agli imprenditori a loro collegati i quali poi, tramite i primi, finiscono per esercitare anch’essi e con gusto il potere mafioso”. Eccola, nero su bianco, l’informativa sul dossier mafia e appalti. Quella informativa era l’inizio dell’indagine. C’era un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidevano gli appalti e si spartivano i proventi”. Su quella indagine Mori, con l’allora giovane capitano Giuseppe De Donno, tra il 1990 e l’inizio del 1991, lavorò per mesi.
E’ il 20 febbraio del 1991 quando l’allora tenente colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, ufficiali del Ros dei Carabinieri, consegnano alla Procura di Palermo, nelle mani di Giovanni Falcone, l’informativa che racconta, per la prima volta, tutti i rapporti tra Cosa nostra e il mondo degli affari. Secondo Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice Paolo Borsellino, come disse tempo fa in una intervista all’Adnkronos subito dopo la sentenza Stato-mafia, “non è stata la trattativa ad accelerare” la morte del padre, ma proprio quella informativa, come conferma anche la sentenza ‘Borsellino’ di Caltanissetta.
Come ribadito anche dall’ex pm Alberto Di Pisa, morto qualche mese fa, che per anni lavorò con Falcone e Borsellino. “Occorre sottolineare anche che l’espansione delle attività di Cosa Nostra al di fuori dell’ isola non si configuri più come un’ipotesi da discutere in sede di analisi o dibattiti, ma appaia qui come una realtà documentata”, scriveva il Ros. ”Tutto questo, a parte ogni altra considerazione, offende ed umilia quanti fanno dell’onestà il loro abito quotidiano, estranei e moralmente lontani da questo odioso mondo del malaffare – scriveva il Ros ancora nella informativa -Infine per coloro i quali sono impegnati a garantire il rispetto della legge, vedere come buona parte degli individui mafiosi, oggetto della presente informativa, siano tuttora di attualità, e per alcuni anche con una qualificazione criminale accentuata, dopo decine di anni di defatiganti attività investigative, appare mortificante e doloroso, considerati i sacrifici ed i lutti che nelle file di magistratura e forze di polizia, nello stesso lasso di tempo, si sono verificati”.
Durante la requisitoria del processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia la Procura generale, rappresentata da Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, l’accusa disse che ”c’erano due dossier su mafia e appalti” dei Carabinieri del Ros, tra il 1991 e il 1992, e che ”nella prima informativa erano stati omessi i nomi dei politici, potenti”. La seconda informativa ”con i nomi dei politici”, sarebbe stata consegnata 19 mesi dopo, il 5 settembre del 1992”, cioè solo dopo le stragi mafiose. ”Nella informativa ‘mafia-appalti’ consegnata nelle mani di Falcone il 20 febbraio 1991 non erano inseriti i nomi dei cosiddetti politici di peso”. Ma la teoria della doppia informativa è stata smentita dall’ordinanza dell’allora Gip di Caltanissetta Gilda Loforti.
Gli investigatori si imbatterono, dunque, nel nome di Angelo Siino, colui che poi diventerà, su sua stessa ammissione, il ‘ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra’. A fare il suo nome è un esposto anonimo. Ufficialmente vendeva auto ma ben presto i Carabinieri si resero conto che c’era ben altro. Come emergeva dalle intercettazioni.
”Mentre padre e fratello gravitano costantemente presso gli uffici ed i cantieri della società edile attendendo a tempo pieno alle esigenze tecniche d’esecuzione e gestione dell’azienda, Angelo appariva proiettato verso un’attività che gli imponeva frequentissimi contatti con altri imprenditori senza che ciò potesse trovare una comprensibile e convincente spiegazione, diversa dalla contraria e seria congettura di una sua piena e diretta partecipazione nella manomissione e nel pilotaggio di appalti per la realizzazione di opere pubbliche”. Siino avrebbe avuto la funzione di stabilire e riscuotere le tangenti imposte agli impresari edili, nonché decretare l’assegnazione dei lavori pubblici in gara alle imprese predestinate, “secondo un ordine funzione degli interessi generali delle famiglie di Cosa Nostra e degli operatori economici ad esse legati”, come dicevano i carabinieri del Ros. Cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino partecipò a un incontro alla Procura di Palermo. In quell’occasione si parlò anche dell’inchiesta ‘mafia e appalti’, di cui il magistrato si era occupato a lungo.
“Ma in quell’incontro il pm Guido Lo Forte nascose al giudice di avere firmato, appena il giorno prima, l’archiviazione dell’inchiesta”, ha denunciato recentemente, nel corso dell’arringa del processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio, l’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino, ma anche marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992. Sull’archiviazione è stato ascoltato in aula anche l’ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, insieme con Guido Lo Forte. ”L’inchiesta mafia-appalti del febbraio 1991 è un’indagine in progresso con vari atti. Dire che l’inchiesta è stata archiviata è una falsità indegna”, ha detto Scarpinato in aula a Caltanissetta.
”L’indagine ebbe vari momenti. Prima fu assegnato a tutti i membri del pool antimafia. Poi si fece il rinvio a giudizio dei sette che erano stati arrestati, i primi a giugno 1991 ed i secondi a gennaio 1992. Il rinvio a giudizio è di maggio 1992. Dopo vi fu uno stralcio sulla parte più importante dell’inchiesta: appalti di mille miliardi di lire, gestiti dalla Sirap. Lo stralcio è del giugno 1992. Restava una parte residuale con alcuni personaggi nei cui confronti non erano ancora stati acquisiti sufficienti elementi per un rinvio a giudizio”, disse ancora l’ex Procuratore generale di Palermo.
Per Scarpinato “quella archiviazione non riguardava mafia-appalti, come spesso nella stampa si legge impropriamente, ma riguardava soltanto la posizione di alcuni soggetti per cui non erano stati aggiunti sufficienti elementi anche a causa di una grave anomalia istituzionale”. Ma cosa accadde in quella riunione del 14 luglio del 1992, cioè cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, di cui parla l’avvocato della famiglia Borsellino? Era un briefing dei magistrati della Procura di Palermo, e in quella occasione Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. Pochi giorni fa il dossier su ‘mafia e appalti’ è finito anche agli onori della cronaca dopo la pubblicazione degli atti del Csm delle audizioni di alcuni magistrati della Procura di Palermo subito dopo la strage di via D’Amelio.
I magistrati 30 anni fa parlarono proprio di quella riunione del 14 luglio convocata dall’allora Procuratore Pietro Giammanco. A parlarne fu, ad esempio, il magistrato Vincenza Sabatino. “Mai era stata convocata un’assemblea di questo genere per i saluti in occasione delle ferie estive”, disse al Csm. E spiegò che Giammanco scrisse nella convocazione “vi prego di intervenire all’assemblea d’ufficio che avrà luogo martedì 14 alle ore 17 nel corso del quale verranno altresì trattate problematiche di interesse generale attinenti alle seguenti rilevanti indagini che hanno avuto anche larga eco nell’opinione pubblica”. “È il procuratore che scrive, e lui già si rende conto alla data dell’11 luglio, quando la convoca, che c’è da tempo una situazione di questo tipo, non è soltanto il lancio delle monetine e sputi che avverrà il 19 sera, ma è una situazione che esiste da tempo”. La tensione al Palazzo di giustizia di Palermo era palpabile, e non da poco tempo. Borsellino vi partecipò ed è anche il magistrato Luigi Patronaggio, da pochi mesi in Procura. E’ lui a raccontare che il giudice chiese delucidazioni sul dossier mafia-appalti. Borsellino “disse espressamente che i carabinieri”, cioè Mori e De Donno “si aspettavano da questa informativa” su mafia e appalti, “dei risultati giudiziari di maggiore respiro”. Alla domanda se si riferisse alla posizione dei politici, Patronaggio ha precisato: “In realtà no, non è solo nei confronti dei politici, ma anche nei confronti degli imprenditori, perché il nodo era valutare a fondo la loro posizione e su questo punto il collega Lo Forte si dilungò spiegando il delicato meccanismo e la delicata posizione degli imprenditori”. Borsellino, in altre parole, in quella occasione, si fece portavoce delle lamentele dei Ros. Proprio mentre il giorno prima i pm titolari di quell’indagine avanzarono già richiesta di archiviazione proprio sulle posizioni degli imprenditori.
Ma i titolari di quell’inchiesta, Lo Forte e Scarpinato, sentiti come testimoni al recente processo sul depistaggio Borsellino hanno detto che mai Borsellino fece quei rilievi durante la riunione. Anche il magistrato Nico Gozzo, oggi alla Procura nazionale antimafia, sentito dal Csm, parlò dei rilievi che Borsellino fece su mafia-appalti, aggiungendo altri elementi importanti.
Adesso sarà la Procura di Caltanissetta a provare a fare luce su quanto accadde in una calda estate di 30 anni fa, quando il dossier mafia e appalti venne archiviato, come ha detto l’avvocato Trizzino al processo depistaggio “mentre stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi”. (Elvira Terranova)