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Operazione “Lua mater”, il boss allo spacciatore: “Inginocchiati che ti ammazzo” (i nomi)

Questa mattina, al culmine di due distinte indagini dirette dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Caltanissetta, la Polizia di Stato ha dato seguito alla vasta operazione “Lua mater”, eseguendo due ordinanze di custodia cautelare emesse dal G.I.P. d Caltanissetta nei confronti complessivamente di 13 persone variamente indiziate per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento personale aggravato, detenzione e porto abusivo di armi da guerra armi clandestine e comuni da sparo.

Questi gli arrestati: Antonio Arcordia Pignarello, 46 anni, di Regalbuto; Giovanni Arcodia Pignarello, 22 anni, di Regalbuto; Francesco Arcodia Pignarello, 59 anni, di Regalbuto; Giuseppe Cantarero, 68 anni, di Regalbuto; Giuseppe Rundo, 51 anni, di Regalbuto; Angelo Rundo, 46 anni, di Regalbuto; Antonino Domenico Abbate, 39 anni, di Barrafranca; Filippo Bonfirraro, 34 anni, di Pietraperzia; Giovanni Di Noto, 52 anni, di Pietraperzia; Giovanna Falzone, 59 anni, di Pietraperzia; Filippo Imprescia, 48 anni, di Pietraperzia; Filippo Marotta, 33 anni, di Pietraperzia.

Durante le indagini, coordinate dal Servizio Centrale Operativo, la Sisco di Caltanissetta, la Squadra mobile di Enna e il Commissariato di P.S. di Leonforte, hanno rinvenuto due imponenti arsenali, sequestrando, complessivamente, 3 fucili mitragliatori d’assalto – Kalashnikov -, mitragliatori 8 fucili, e 9 pistole, nonché il relativo munizionamento; arsenali che sarebbero stati pronti all’uso e nella diretta disponibilità degli appartenenti all’organizzazione mafiosa.

LE INDAGINI

Una prima indagine, diretta dalla D.D.A della Procura di Caltanissetta, condotta dalla Sisco di Caltanissetta e indirizzata nei confronti della famiglia mafiosa di Pietraperzia, ha consentito di sequestrare, con la Squadra mobile di Enna, una parte considerevole del suddetto arsenale e di individuare i soggetti indiziati di averne curato la manutenzione e la custodia per conto delle articolazioni di cosa nostra operanti nella stessa Pietraperzia e in Barrafranca.

Le intercettazioni svolte nei confronti di B. L., soggetto già condannato per associazione mafiosa, in quanto ritenuto intraneo alla famiglia mafiosa di Pietraperzia nell’ambito dell’operazione Primavera, hanno fatto emergere come lo stesso, presso una sua abitazione rurale, potesse essere in possesso di più armi di cui, presumibilmente, curava la manutenzione con l’ausilio del figlio B. F..

Alla luce di tale circostanza, l’estesa proprietà di B. L. veniva sottoposta a una prima perquisizione, la quale risultava parzialmente infruttuosa poiché consentiva di rinvenire solamente poche cartucce cal. 12 e alcune parti di fucile.

Detta attività, tuttavia, innescava una serie di eventi in ultimo culminati nel rinvenimento dell’arsenale. E infatti, nel timore di una nuova e più pervasiva perquisizione, gli indagati si sarebbero avvalsi di un loro fiancheggiatore per dissotterrare, mediante un escavatore condotto da quest’ultimo, alcuni sacchi di plastica che si trovavano nel terreno della suddetta proprietà; quindi, detti sacchi, dopo una serie di spostamenti provvisori, sarebbero stati definitivamente interrati in un diverso terreno non distante dal loro; il tutto in orario notturno e all’insaputa del proprietario del fondo.

Ricostruendo tale ultimo spostamento, anche attraverso più telecamere dotate di visore termico, il personale operante riusciva a individuare l’esatto punto in cui erano stati interrati i sacchi, i quali, recuperati mediante una tempestiva perquisizione, risultavano contenere 6 pistole, 5 fucili, 1 kalashnikov e 1 mitragliatore da guerra, nonché più di 1.000 proiettili, comuni e da guerra, di diverso calibro.

Il Gip di Caltanissetta su richiesta della D.D.A. della Procura di Caltanissetta, ha ritenuto la sussistenza di un grave quadro indiziario in relazione all’organicità a cosa nostra, famiglia mafiosa di Pietraperzia, di B. L., di sua moglie F. G. e di suo figlio B. F., nonché del barrese A. A. D., i quali potevano presumibilmente contare su una schiera di soggetti che, essendo a loro disposizione, gli avrebbero prestato assistenza durante le ripetute movimentazioni dell’arsenale e li avrebbero favoriti ad eludere le indagini a loro carico, sia mediante la bonifica di un’autovettura che attraverso il rilascio di false dichiarazioni agli inquirenti.

Un’ulteriore indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Enna e dal Commissariato di Leonforte, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Caltanissetta, ha consentito di raccogliere gravi elementi indiziari in ordine alla riorganizzazione dell’articolazione regalbutese della famiglia di Enna di cosa nostra, ad opera dal pregiudicato mafioso A. P. A., già condannato con sentenza definitiva nell’operazione “Go Kart”.

Nel corso dell’attività investigativa, nel magazzino di un bar ubicato nella piazza centrale di Regalbuto, è stato rinvenuto e sequestrato un arsenale composto da armi da guerra e da armi comuni, che il titolare del bar, A. P. F., arrestato in flagranza il 1° marzo 2024, cugino del predetto A.P.A., avrebbe detenuto per conto dell’organizzazione mafiosa.

In particolare, nel corso di una mirata perquisizione, effettuata da personale della Squadra mobile di Enna e della Squadra di polizia giudiziaria del Commissariato di Leonforte, sono state rinvenute 1 kalashnikov, 3 fucili, 2 pistole semiautomatiche e 1 revolver, con relativo munizionamento da guerra, nonché più di 250 munizioni, comuni e da guerra, di diverso calibro.

L’imponente arsenale fornisce una chiara indicazione della pericolosità della consorteria mafiosa che ne disponeva e che benché tradizionalmente facente parte della provincia mafiosa di Enna, secondo i gravi indizi acquisiti nel corso delle indagini, risulta intrattenere strettissimi rapporti di collaborazione con il clan Santapaola di Catania ed in particolare con esponenti di articolazioni dei clan operanti nell’hinterland catanese.

Significativo che anche dopo il sequestro, intervenuto nello scorso mese di marzo, dall’attività investigativa sono emersi elementi indizianti significativi di uno sforzo volti a ricostituire per quanto possibile l’arsenale perduto, con una febbrile ricerca di armi.

Secondo il grave quadro indiziario recepito nell’ordinanza di custodia cautelare, A. P. A., una volta ritornato in libertà dopo aver espiato la pena inflittagli per la precedente condanna per associazione mafiosa, ha cercato di ricostruire i rapporti associativi, riproponendosi come referente di cosa nostra a Regalbuto, si all’interno della provincia di Enna, sia all’esterno, con particolare riferimento alla provincia di Catania.

Nel corso dell’indagine sono state ricostruite numerose vicende indicative del controllo mafioso che avrebbe esercitato A.P.A. quale affiliato dell’organizzazione Cosa Nostra, referente del territorio di Regalbuto.

Sintomatica del controllo del territorio è, per esempio, l’attività di regolazione, tradizionalmente mafiosa, delle controversie private, che A.P.A. esercitava sistematicamente. Infatti, gravi indizi sono stati acquisiti in ordine al suo intervento a seguito della richiesta di un soggetto che si riteneva vittima di “prevaricazioni” ad opera di un vicino; ovvero, al suo intervento nell’ambito di contrasti sorti a seguito di affari illeciti, come quando sarebbe stato chiamato ad interessarsi, su richiesta di soggetti affiliati al clan Santapaola, per il recupero di un credito legato ad una cessione di sostanza stupefacente, ad una persona di Regalbuto.

Sollecitato dalle vittime dei furti sarebbe intervenuto con successo sia per il recupero di un’auto Mitsubishi Pajero sia per il recupero di un furgone, entrambi rubati a Regalbuto (nel secondo caso dietro pagamento di un riscatto). A.P.A. avrebbe inoltre rintracciato un soggetto ritenuto responsabile di aver spacciato stupefacente e Regalbuto, senza la sua “autorizzazione”, e l’avrebbe percosso ripetutamente, senza che quest’ultimo, benché apparentemente più prestante e giovane, reagisse in alcun modo; la condotta è sintomatica di un ruolo mafioso, che comporta il potere di controllare le attività illecite poste in essere sul suo territorio, consentendole o meno.

Sono stati altresì acquisiti gravi indizi del fatto che in occasione di un furto di ovini la vittima aveva chiesto aiuto ad A.P.A., che avrebbe effettivamente individuato il presunto autore.

Quindi i due soggetti, incaricati da A.P.A., si sarebbero resi responsabili di una spedizione punitiva nei confronti del presunto responsabile del furto, picchiandolo duramente e sottraendogli un ciclomotore, consumando così il reato di rapina. Tale ciclomotore veniva poi restituito su ordine dello stesso A.P.A.: invero lo scopo di quest’ultimo nell’infliggere la punizione sarebbe stato anche quello di verificare se il presunto autore del furto fosse appoggiato da soggetti che potessero prenderne le difese, mettendo in discussione la sua leadership criminale a Regalbuto.

Per quanto concerne la contestazione del reato di estorsione, nel corso del 2023 e del 2024, sono stati acquisiti gravi indizi in ordine all’intervento di A.P.A. in occasione dell’acquisto ai pubblici incanti di un appartamento, già di proprietà di C.G. – soggetto a lui vicino, come risulta dalle intercettazioni, che si sarebbe messo a disposizione per comunicare con esponenti dei clan catanesi e per organizzare incontri-.

In particolare, A.P.A. si inserisce nella vicenda, secondo la ricostruzione della D.D.A. recepita nell’ordinanza di custodia, intimando all’acquirente all’incanto dell’immobile, già di proprietà di C.G., di versare una somma di denaro in suo favore per l’acquisto, da parte di quest’ultimo, di un’altra abitazione ove andare a vivere, così subordinando la possibilità del legittimo acquirente di entrare in possesso dell’appartamento.

Altri elementi indizianti sono stati acquisiti in ordine a una serie di contatti ed incontri finalizzati ad organizzare un traffico di stupefacenti con esponenti della ’ndrangheta.

Operazione Lua mater, le armi e le intercettazioni

IL DISPOSITIVO DELLA POLIZIA DI STATO

Sono circa 180 gli operatori della Polizia di Stato che, dalle prime luci dell’alba, hanno dato seguito alle suddette misure cautelari, perquisendo gli indagati e i luoghi nella loro disponibilità al fine di rinvenire delle ulteriori armi.

Contestualmente, nell’ambito di una pervasiva attività di controllo parimenti finalizzata al rinvenimento di armi e munizionamenti, sono state effettuate nr. 8 ulteriori perquisizioni nei confronti di altrettanti soggetti gravati da precedenti specifici o comunque indiziati di averne la disponibilità.

Alla complessa attività di Polizia Giudiziaria, oltre ai citati Uffici, hanno partecipato gli operatori delle Squadre Mobili di Palermo, Catania, Ragusa, Agrigento, le S.I.S.C.O. di Palermo, Catania e Messina e Trento, del Reparto Volo di Palermo, dei Reparti Prevenzione Crimine di Palermo e Catania, del Reparto Mobile di Catania, del Gabinetto Provinciale di Polizia Scientifica di Enna e del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica di Catania. Ulteriormente, ci si è avvalsi delle Unità Cinofile provenienti dalla Questura di Palermo e dalla Questura di Catania, nonché della Polizia di Frontiera di Catania.

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Redazione