“Il rischio di recidiva nei confronti di tali soggetti può essere neutralizzato con una misura, decisamente meno afflittiva della custodia cautelare in carcere, ma comunque idonea a limitarne efficacemente la libertà di azione, relazione ed iniziativa”. Il gip del tribunale di Agrigento, Micaela Raimondo, non ha convalidato il provvedimento di fermo a carico degli 11 indagati coinvolti negli scorsi giorni nell’operazione Zefiro, l’indagine coordinata dalla procura ed eseguita dai carabinieri, che ha fatto luce su un vasto traffico di cocaina a Lampedusa. Le undici persone fermate dai militari sono state tutte scarcerate. Il giudice ha applicato per tutti gli indagati le misure cautelari dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell’obbligo di dimora. In particolare per Vincenzo Di Maggio, Sana Sarr (difesi dall’avvocato Vincenzo Caponnetto), Waly Sarr, Mbaye Ibrahima (difesi dall’avvocato Valentina Riccobene) e Gningue Doudon (difeso dall’avvocato Giovanni Crosta) l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria tutti i giorni della settimana; per Vincenzo Lo Verde (difeso dall’avvocato Maria Angela Cucchiara) l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria due volte a settimana; obbligo di dimora nel comune di residenza per Vincenzo Barbera (difeso dall’avvocato Fabio Quattrocchi), Tony Sparma (difeso dall’avvocato Gaetano Gucciardo), Nicola Minio (difeso dall’avvocato Basilio Vella), Jacopo Blandina (difeso dall’avvocato Giuseppe Contato) e Giovanni Blandina (difeso dall’avvocato Salvatore Tirinnocchi).
Sebbene la misura cautelare della custodia in carcere sia stata revocata nei confronti di tutti gli indagati, alla luce dell’esclusione di un pericolo di fuga e del tempo trascorso dai fatti contestati, l’impianto accusatorio regge interamente. Per il giudice, infatti, sussistono “gravi indizi di colpevolezza in relazione alla posizione di ciascuno degli indagati”. Così come sussiste un concreto ed attuale pericolo di inquinamento probatorio (probabile che in tal senso la procura chieda di svolgere l’incidente probatorio) e di reiterazione del reato. Tutte circostanze che, secondo quanto valutato dal gip del tribunale di Agrigento, possono essere scongiurate non necessariamente con il carcere ma anche con una meno afflittiva misura quale l’obbligo di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria: “Il costante contatto tra gli indagati e le forze dell’ordine dovrebbe essere idoneo ad esercitare una positiva azione dissuasiva nonché a rimarcare l’attenzione prestata dall’ordinamento nella repressione di tale reati.”
L’inchiesta Zefiro, coordinata dal procuratore Salvatore Vella e dal sostituto Giulia Sbocchia, è scattata quattro giorni fa con un provvedimento di fermo eseguito dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento nei confronti di 11 indagati. L’indagine è la naturale prosecuzione dell’attività investigativa “Levante” che lo scorso anno portò al fermo di altrettante persone. L’inchiesta non soltanto ha ridisegnato la centralità di Lampedusa sulla mappa del traffico di cocaina ma ha svelato anche il ruolo di alcuni pescherecci che, oltre a pescare gamberi, hanno portato sulla terra ferma chili e chili di polvere bianca. E l’attività investigativa, che già aveva già registrato lo scorso anno un sussulto con il sequestro di venticinque panetti di cocaina, non si è fermata. Anzi, è proseguita arricchendosi di ulteriori nuovi elementi. A partire dal quantitativo di droga rinvenuto in mare. Non uno ma ben due carichi, per un peso complessivo di quasi 200kg, pescati in acqua. Non uno ma ben quattro indagati che hanno deciso di collaborare e fornire indicazioni utili sul vasto traffico di stupefacenti. Tra questi uno dei membri dell’equipaggio del peschereccio “Nuovo Vincenzo Padre”, l’imbarcazione che a fine giugno dello scorso anno ritrovò durante una battuta di pesca ben 57 panetti di cocaina alla Secca di Levante, zona a sud di Lampedusa.