“Sono terrorizzata, non ho mai provato nulla del genere. Ho paura ad uscire di casa e quando sono costretta per lavoro mi guardo continuamente intorno, mi giro e rigiro, mi sento confusa e impaurita. Lui è stato capace di farsi trovare ovunque mi trovassi. Ha aggredito i miei amici, insultato i miei genitori, perseguitato chiunque provasse ad avvicinarsi a me. Più volte ho pensato che mi avrebbe uccisa durante quei litigi violenti, dove cercavo di calmarlo, cercando invano con lo sguardo l’aiuto di qualcuno, di un passante, una signora di passaggio…volevo scappare, gridare, piangere. La mia vita è finita, così mi ha detto ed aveva ragione…non ho più una vita!” Questa è la testimonianza di una donna vittima di continue violenze, che finalmente ha avuto il coraggio di denunciare.
L’escalation di maltrattamenti in famiglia non si è fermata ed gli episodi di violenza continuano a manifestarsi; Vittime di questi atti sono spesso donne, sia che si tratti della compagna convivente, della moglie o della ex, la violenza non guarda in faccia a nessuno e spesso coinvolge anche i figli minori costretti a subire o osservare inermi violenze e maltrattamenti da uomini che dovrebbero rappresentare una figura paterna in famiglia. Dal 2000 ad oggi sono più di tremila le donne uccise, un dato inaccettabile. Raccogliendo solamente gli episodi degli ultimi giorni, viene fuori un elenco dell’orrore. C’è chi agisce per gelosia, chi cerca denaro per procurarsi droga, chi sente lesa la propria dignità di fronte ad una richiesta di divorzio, le cause sono le più disparate, ma nessuna di loro può giustificare gli atti compiuti.
Molte donne trovano la forza e il coraggio di denunciare e altre perché non lo fanno? Risponde alla domanda l’avvocato penalista Alessandro Numini del Foro di Catania.
“Nel momento in cui chiediamo a una vittima spiegazioni in merito alla violenza subita, invece di prestarle assistenza, stiamo parlando di Victim Blaming cioè “colpevolizzazione della vittima”: la paura di non essere creduta, il timore di essere attaccata in un momento di estrema vulnerabilità, la concreta possibilità di una vittimizzazione secondaria a livello sociale, mediatico e giuridico. La vittima, continua l’avvocato Numini, magari nel momento in cui trova la forza di denunciare, viene sottoposta a una trafila di domande, richieste di spiegazioni di dettagli superflui che spesso portano la persona a rivivere la violenza subita. Per questo diventa fondamentale rivolgersi a professionisti specializzati presenti sia nelle forze dell’ordine, che tra gli avvocati o le associazioni di aiuto e sostegno alle vittime. Un aspetto fondamentale è proprio la formazione dei professionisti che affrontano vicende in materia di violenza sulla donna: sia le forze dell’ordine che i professionisti sanitari, fino agli avvocati e i magistrati. Chiunque venga coinvolto in tali vicende deve essere formato sulle questioni di genere per prestare la massima assistenza, riconoscere i segnali della violenza e agire di conseguenza, anche con le parole giuste.Il professionista che conosce la tematica, saprà aiutare la vittima di violenze a raccontare la propria storia, senza incalzarla o utilizzando domande che possano irretire la persona che vive un momento di estrema fragilità”.
Lo Stato è intervenuto con grande attenzione su questo tema con diverse riforme, fra tutte la Legge 69/2019 nota come “Codice Rosso”, un innesto normativo in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, composto da 21 articoli i quali individuano un catalogo di reati attraverso i quali si esercita la violenza domestica e di genere. “Il codice rosso è una sorta di “Allarme” che prevede un intervento rapido e diretto, ci spiega l’avvocato Numini; la polizia giudiziaria in presenza di una notizia di reato di violenza domestica o di genere, acquisita la notizia, la trasmette immediatamente al pubblico ministero, il quale entro tre giorni, decorrenti dall’iscrizione della notizia di reato, dovrà ascoltare la persona offesa o assumere informazioni da chi ha denunciato tali fatti. Altro aspetto molto importante, continua il penalista catanese, consiste nella previsione di un lasso di tempo maggiore in ordine alla possibilità di poter denunciare, infatti la persona vittima di violenza avrà 12 mesi rispetto ai 6 mesi previsti in genere dalla legge per poter denunciare”.
Dal primo segnale, dal primo schiaffo non giustificate il vostro uomo, perché chi ama non picchia. Ribellatevi donne, non siete sole, potete rivolgervi ai Centri antistalking e antiviolenza presenti sul territorio, potete chiamare il 1522, potete recarvi dai Carabinieri, all’interno di ogni caserma c’è una stanza rosa, esiste un’app della Polizia, Youpol, che vi permette di segnalare la violenza con un click, ecco le leggi ci sono, i mezzi a disposizione pure, bisogna fare rete tutti insieme e bisogna ricordare che è fondamentale denunciare.
Ma in che modo possiamo debellare questo “cancro” dalla nostra società contemporanea? “Non è così semplice superare convinzioni radicate nel tessuto sociale, che distorcono l’immagine della donna, sminuendola o privandola delle sue libertà, per questo ritengo sia nostro dovere fare il possibile, e oltre, per impedire il reiterarsi di queste orribili violenze. Proprio per questo ci ritroviamo qui a parlarne, dice l’avvocato Alessandro Numini, perché la SOLUZIONE SIAMO SOPRATUTTO NOI, i nostri comportamenti, il nostro rispetto verso il prossimo, la nostra armonia con la vita degli altri. “Non è sufficiente non calcare il palcoscenico di un crimine. Bisogna aver cura di non sedersi nella platea degli indifferenti.”