ROMA (ITALPRESS) – Fino al 21 settembre, Palazzo Bonaparte a Roma rende omaggio a uno dei maestri più amati della fotografia del Novecento: Elliott Erwitt. La mostra ‘Icons’ racconta attraverso oltre 80 scatti iconici la lunga e brillante carriera di un artista capace di cogliere l’anima del Novecento e di trasformare attimi ordinari in immagini indimenticabili, con uno sguardo profondamente umano ma sempre sorprendente. In mostra a Roma icone di un’epoca, di un modo di guardare il mondo con leggerezza e intelligenza.
“Icons” perchè ogni scatto di Erwitt è diventato un simbolo, della sua poetica e della nostra stessa memoria collettiva.
Erwitt non è solo un fotografo: è il cantore della commedia umana, l’infallibile testimone delle piccole e grandi assurdità della vita, che sa raccontare con un’ironia disarmante, una poesia sottile e una grazia senza tempo. Le sue immagini riescono a essere al tempo stesso leggere e profonde, intime e universali. Sono scatti che fanno sorridere, riflettere, emozionare.
Elliott Erwitt è stato – ed è – un protagonista assoluto della cultura visiva del nostro tempo. Le sue immagini, i suoi libri, i reportage, le illustrazioni e le campagne pubblicitarie hanno attraversato i decenni, apparendo su testate internazionali e influenzando generazioni di fotografi e artisti. Questa mostra è un viaggio attraverso la sua opera e insieme un invito a guardare il mondo con occhi nuovi: con leggerezza, con empatia, con meraviglia.
Membro dal 1953 della storica agenzia Magnum – fondata tra gli altri da Henri Cartier-Bresson e Robert Capa – Erwitt ha raccontato con piglio giornalistico gli ultimi sessant’anni di storia e di civiltà contemporanea, cogliendo gli aspetti più drammatici ma anche quelli più divertenti della vita che è passata di fronte al suo obiettivo.
‘Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nullà. Con queste parole Erwitt sintetizza lo spirito e la poetica con cui filtra la realtà, la rappresenta con la sua maestria, cogliendone gli aspetti a volte giocosi, a volte irriverenti o quasi surreali, che ne fanno un maestro indiscusso della commedia umana.
Curata da Biba Giacchetti, una delle massime conoscitrici di Erwitt a livello internazionale, con l’assistenza tecnica di Gabriele Accornero, Elliott Erwitt. Icons è uno spaccato della storia e del costume, un percorso sintetico e completo della sua genialità, del suo sguardo sul mondo, dai suoi cani antropomorfi ai potenti della terra, dalle grandi star del cinema, una su tutte Marilyn, ai suoi bambini. Ma è anche un omaggio all’uomo che, con uno sguardo gentile e disincantato, ha saputo raccontare il mondo per quello che è: tragicomico, tenero, assurdo, irripetibile.
La mostra Elliott Erwitt. Icons, è prodotta e organizzata da Arthemisia, in collaborazione con Orion57 e Bridgeconsultingpro. Main partner della mostra la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale con Fondazione Cultura e Arte e Poema.
Afferma Iole Siena, Presidente di Arthemisia: ‘Accogliere le fotografie di Elliott Erwitt a Palazzo Bonaparte, il luogo delle più grandi mostre a Roma e in Italia, è per noi non solo un onore, ma anche una grande emozione. Le sue immagini – ironiche, eleganti, a volte pungenti, sempre profondamente umane – ci ricordano che lo straordinario si nasconde nell’ordinario, e che la bellezza può essere anche un sorriso lieve, colto al volo prima che svanisca. Erwitt – spiega – non ha mai alzato la voce, eppure ha detto moltissimo. Con il suo sguardo gentile e arguto ha raccontato il mondo per come è, senza mai forzarlo. Ha fotografato presidenti e passanti, cani e bambini, amanti e solitudini, sempre con lo stesso rispetto, con la stessa curiosità. In queste sale romane, dove la storia si affaccia su Piazza Venezia, la sua fotografia trova uno spazio naturale: perchè anche qui convivono il rigore e la sorpresa, la memoria e il gioco, l’istante e l’eternità. Il nostro augurio è che Erwitt e questa mostra vi facciano sorridere, riflettere, e magari anche commuoverè.
‘Sono molto lieta che la solida partnership tra Arthemisia e la Fondazione Terzo Pilastro prosegua, nel periodo estivo, con la grande mostra dedicata ad Elliott Erwitt, uno dei fotografi del Novecento più amati dal pubblico in tutto il mondo. In primo luogo, perchè – come insegna il mio illustre predecessore, il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, che ha promosso in passato svariate mostre fotografiche di successo – ormai dalla fine del secolo scorso la fotografia è a tutti gli effetti considerata una forma d’arte autonoma, che non imita la pittura o la scultura ma indaga la realtà e i temi della bellezza, del dolore, della vita attraverso un linguaggio proprio e altrettanto autorevole – commenta Alessandra Taccone, Presidente della Fondazione Terzo Pilatro – Internazionale -. In secondo luogo, perchè la fotografia di Erwitt rappresenta un unicum nel panorama internazionale: con un approccio tra il neorealismo e il minimalismo, l’uso prevalente del bianco e nero, un intuito e una sensibilità fuori dal comune e una tecnica sopraffina (egli ha lavorato quasi sempre con macchine 35mm, come la Leica M3, che gli hanno permesso di catturare momenti autentici e senza pose), Elliott Erwitt ha saputo lasciare una propria, peculiare visione del mondo, cogliendone l’ironia, come nella bellissima serie dedicata ai cani, ma anche le fragilità, le imperfezioni, lo stupore e le verità sottese, come nel caso dei ritratti dei personaggi famosi o della variegata serie delle immagini urbane. Degna di nota, poi, è la sezione dei “Self-Portrait”: scatti a tratti giocosi, burleschi, privi di qualsiasi autocompiacimento, attraverso cui l’artista gioca con la sua identità di fotoreporter, osservando il mondo con candido disincanto. Si tratta dunque, per concludere, di una mostra che indaga, attraverso la forza delle immagini, i grandi temi della vita: un’impresa che richiede una sensibilità e una capacità narrativa fuori dal comune, due doti che indubbiamente Erwitt possedevà.
Nel percorso espositivo si incontrano i famosi ritratti di Marilyn Monroe, di Che Guevara, di Kerouac, di Marlene Dietrich, Fidel Castro, Sophia Loren, Arnold Schwarzenegger e fotografie che hanno fatto la storia, come il diverbio tra Nixon e Krusciov, il funerale di Kennedy, il grande match tra Frazier e Alì, così come le icone più amate dal pubblico per la loro forza romantica, come il California Kiss, o quelle più intime e private, come lo scatto della sua primogenita neonata, osservata sul letto dalla mamma.
Su tutte, Erwitt posa uno sguardo incisivo e al tempo stesso pieno di empatia, dal quale emerge non soltanto l’ironia del vivere quotidiano, ma anche la sua complessità.
Con lo stesso atteggiamento, d’altra parte, Erwitt riserva la sua attenzione a qualsiasi altro soggetto, portando all’estremo la qualità democratica che è tipica del suo mezzo. Il suo immaginario è infatti popolato in prevalenza da persone comuni, uomini e donne, colte nel mezzo della normalità delle loro vite.
Dai ritratti di personaggi famosi alle immagini più ironiche e talvolta irriverenti, si passa ad alcuni autoritratti dove Erwitt non lascia più niente al caso o all’intuizione, ma costruisce un altro da sè, dove l’eccentricità fine a se stessa è metafora e puro divertimento surreale.
Una particolare attenzione poi è destinata ai cani, di cui Erwitt apprezzava l’atteggiamento irriverente, libero e svincolato dalle comuni regole che condizionano gli esseri umani.
Moltissimi sono gli scatti “dal punto di vista dei cani”, lasciando comparire nelle sue composizioni solo le scarpe o una parte delle gambe dei loro padroni. Erwitt voleva che queste fotografie risultassero buffe e per questo metteva in atto ingegnose strategie, come suonare una trombetta o emettere una specie di latrato, per ottenere dagli animali una reazione il più naturale possibile.
L’esposizione – visitabile fino al 21 settembre – segna, dopo il recente grande successo della retrospettiva di Edvard Munch, l’apertura della stagione espositiva estiva di Palazzo Bonaparte.
“Icons” perchè ogni scatto di Erwitt è diventato un simbolo, della sua poetica e della nostra stessa memoria collettiva.
Erwitt non è solo un fotografo: è il cantore della commedia umana, l’infallibile testimone delle piccole e grandi assurdità della vita, che sa raccontare con un’ironia disarmante, una poesia sottile e una grazia senza tempo. Le sue immagini riescono a essere al tempo stesso leggere e profonde, intime e universali. Sono scatti che fanno sorridere, riflettere, emozionare.
Elliott Erwitt è stato – ed è – un protagonista assoluto della cultura visiva del nostro tempo. Le sue immagini, i suoi libri, i reportage, le illustrazioni e le campagne pubblicitarie hanno attraversato i decenni, apparendo su testate internazionali e influenzando generazioni di fotografi e artisti. Questa mostra è un viaggio attraverso la sua opera e insieme un invito a guardare il mondo con occhi nuovi: con leggerezza, con empatia, con meraviglia.
Membro dal 1953 della storica agenzia Magnum – fondata tra gli altri da Henri Cartier-Bresson e Robert Capa – Erwitt ha raccontato con piglio giornalistico gli ultimi sessant’anni di storia e di civiltà contemporanea, cogliendo gli aspetti più drammatici ma anche quelli più divertenti della vita che è passata di fronte al suo obiettivo.
‘Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nullà. Con queste parole Erwitt sintetizza lo spirito e la poetica con cui filtra la realtà, la rappresenta con la sua maestria, cogliendone gli aspetti a volte giocosi, a volte irriverenti o quasi surreali, che ne fanno un maestro indiscusso della commedia umana.
Curata da Biba Giacchetti, una delle massime conoscitrici di Erwitt a livello internazionale, con l’assistenza tecnica di Gabriele Accornero, Elliott Erwitt. Icons è uno spaccato della storia e del costume, un percorso sintetico e completo della sua genialità, del suo sguardo sul mondo, dai suoi cani antropomorfi ai potenti della terra, dalle grandi star del cinema, una su tutte Marilyn, ai suoi bambini. Ma è anche un omaggio all’uomo che, con uno sguardo gentile e disincantato, ha saputo raccontare il mondo per quello che è: tragicomico, tenero, assurdo, irripetibile.
La mostra Elliott Erwitt. Icons, è prodotta e organizzata da Arthemisia, in collaborazione con Orion57 e Bridgeconsultingpro. Main partner della mostra la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale con Fondazione Cultura e Arte e Poema.
Afferma Iole Siena, Presidente di Arthemisia: ‘Accogliere le fotografie di Elliott Erwitt a Palazzo Bonaparte, il luogo delle più grandi mostre a Roma e in Italia, è per noi non solo un onore, ma anche una grande emozione. Le sue immagini – ironiche, eleganti, a volte pungenti, sempre profondamente umane – ci ricordano che lo straordinario si nasconde nell’ordinario, e che la bellezza può essere anche un sorriso lieve, colto al volo prima che svanisca. Erwitt – spiega – non ha mai alzato la voce, eppure ha detto moltissimo. Con il suo sguardo gentile e arguto ha raccontato il mondo per come è, senza mai forzarlo. Ha fotografato presidenti e passanti, cani e bambini, amanti e solitudini, sempre con lo stesso rispetto, con la stessa curiosità. In queste sale romane, dove la storia si affaccia su Piazza Venezia, la sua fotografia trova uno spazio naturale: perchè anche qui convivono il rigore e la sorpresa, la memoria e il gioco, l’istante e l’eternità. Il nostro augurio è che Erwitt e questa mostra vi facciano sorridere, riflettere, e magari anche commuoverè.
‘Sono molto lieta che la solida partnership tra Arthemisia e la Fondazione Terzo Pilastro prosegua, nel periodo estivo, con la grande mostra dedicata ad Elliott Erwitt, uno dei fotografi del Novecento più amati dal pubblico in tutto il mondo. In primo luogo, perchè – come insegna il mio illustre predecessore, il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, che ha promosso in passato svariate mostre fotografiche di successo – ormai dalla fine del secolo scorso la fotografia è a tutti gli effetti considerata una forma d’arte autonoma, che non imita la pittura o la scultura ma indaga la realtà e i temi della bellezza, del dolore, della vita attraverso un linguaggio proprio e altrettanto autorevole – commenta Alessandra Taccone, Presidente della Fondazione Terzo Pilatro – Internazionale -. In secondo luogo, perchè la fotografia di Erwitt rappresenta un unicum nel panorama internazionale: con un approccio tra il neorealismo e il minimalismo, l’uso prevalente del bianco e nero, un intuito e una sensibilità fuori dal comune e una tecnica sopraffina (egli ha lavorato quasi sempre con macchine 35mm, come la Leica M3, che gli hanno permesso di catturare momenti autentici e senza pose), Elliott Erwitt ha saputo lasciare una propria, peculiare visione del mondo, cogliendone l’ironia, come nella bellissima serie dedicata ai cani, ma anche le fragilità, le imperfezioni, lo stupore e le verità sottese, come nel caso dei ritratti dei personaggi famosi o della variegata serie delle immagini urbane. Degna di nota, poi, è la sezione dei “Self-Portrait”: scatti a tratti giocosi, burleschi, privi di qualsiasi autocompiacimento, attraverso cui l’artista gioca con la sua identità di fotoreporter, osservando il mondo con candido disincanto. Si tratta dunque, per concludere, di una mostra che indaga, attraverso la forza delle immagini, i grandi temi della vita: un’impresa che richiede una sensibilità e una capacità narrativa fuori dal comune, due doti che indubbiamente Erwitt possedevà.
Nel percorso espositivo si incontrano i famosi ritratti di Marilyn Monroe, di Che Guevara, di Kerouac, di Marlene Dietrich, Fidel Castro, Sophia Loren, Arnold Schwarzenegger e fotografie che hanno fatto la storia, come il diverbio tra Nixon e Krusciov, il funerale di Kennedy, il grande match tra Frazier e Alì, così come le icone più amate dal pubblico per la loro forza romantica, come il California Kiss, o quelle più intime e private, come lo scatto della sua primogenita neonata, osservata sul letto dalla mamma.
Su tutte, Erwitt posa uno sguardo incisivo e al tempo stesso pieno di empatia, dal quale emerge non soltanto l’ironia del vivere quotidiano, ma anche la sua complessità.
Con lo stesso atteggiamento, d’altra parte, Erwitt riserva la sua attenzione a qualsiasi altro soggetto, portando all’estremo la qualità democratica che è tipica del suo mezzo. Il suo immaginario è infatti popolato in prevalenza da persone comuni, uomini e donne, colte nel mezzo della normalità delle loro vite.
Dai ritratti di personaggi famosi alle immagini più ironiche e talvolta irriverenti, si passa ad alcuni autoritratti dove Erwitt non lascia più niente al caso o all’intuizione, ma costruisce un altro da sè, dove l’eccentricità fine a se stessa è metafora e puro divertimento surreale.
Una particolare attenzione poi è destinata ai cani, di cui Erwitt apprezzava l’atteggiamento irriverente, libero e svincolato dalle comuni regole che condizionano gli esseri umani.
Moltissimi sono gli scatti “dal punto di vista dei cani”, lasciando comparire nelle sue composizioni solo le scarpe o una parte delle gambe dei loro padroni. Erwitt voleva che queste fotografie risultassero buffe e per questo metteva in atto ingegnose strategie, come suonare una trombetta o emettere una specie di latrato, per ottenere dagli animali una reazione il più naturale possibile.
L’esposizione – visitabile fino al 21 settembre – segna, dopo il recente grande successo della retrospettiva di Edvard Munch, l’apertura della stagione espositiva estiva di Palazzo Bonaparte.
– foto ufficio stampa Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale a sinistra una delle opere in mostra, a destra Alessandra Taccone –
(ITALPRESS).