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Quei rapporti pericolosi tra mafia, politica e trafficanti di droga

L’episodio era quasi passato in sordina, celato tra le migliaia di pagine dell’ordinanza e coperto da uno fragoroso clamore mediatico dovuto agli oltre cinquanta arresti eseguiti.

Ma l’ultima inchiesta sui clan mafiosi di Villaseta e Porto Empedocle, con annesso un fiorente traffico di stupefacenti ramificato in almeno tre province, porta a galla una vicenda che fino ad oggi ai più era rimasta ignota e che vede il coinvolgimento di un consigliere comunale in carica di Favara.

Fatti puntualmente annotati e fotografati dai carabinieri del Nucleo Investigativo guidati dal ten. col. Vincenzo Bulla, che, in quasi due anni di indagini, sono stati messi nero su bianco. Al netto dell’attività investigativa, e delle eventuali responsabilità ancora da provare con un doveroso contraddittorio, è lecito domandarsi perchè e quali siano i rapporti tra un consigliere comunale in carica di Favara e l’uomo che nel 1995 curò le ultime fasi della latitanza di Giovanni Brusca, il boia di Capaci, mettendo a disposizione l’abitazione in via Papillon dove poi l’allora superlatitante venne arrestato.

I protagonisti di questa vicenda, così come emerge dal rapporto dei carabinieri ma anche dall’ordinanza del Gip Antonella Consiglio, sono Giuseppe Lentini e Domenico Blando. Il primo è consigliere comunale in carica a Favara, eletto nel 2021 con quasi 800 preferenze nelle lista “Onda & cambiare passo con Infurna sindaco” per poi formare un nuovo gruppo da indipendente. Il secondo, noto ai più per essere stato arrestato 29 anni fa insieme a Brusca nel covo di Cannatello, è tornato nuovamente in carcere nelle scorse settimane nell’operazione sui clan di Villaseta e Porto Empedocle. Blando, in particolare, è accusato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Numerosi sono gli episodi di cessione a lui addebitati così come il suo rapporto con Vincenzo Parla, canicattinese, ritenuto al vertice insieme al boss empedoclino Fabrizio Messina del sodalizio in grado di smerciare droga in mezza Sicilia.

LE INTERCETTAZIONI

E la vicenda che interessa il consigliere comunale Lentini è proprio un intreccio di relazioni (anche) tra i soggetti sopra menzionati. È l’ottobre 2023 e gli investigatori monitorano Blando e Parla. Tra conversazioni e pedinamenti salta fuori il nome del consigliere comunale, ritenuto “soggetto a completa disposizione di Blando Domenico” nonché “fondamentale per consentire consapevolmente il passaggio di comunicazioni tra i due” . Questo è quanto viene ricostruito nell’ordinanza: “La mattina del 12 ottobre 2023, Blando Domenico, con la metodologia usata in precedenza, si avvaleva questa volta di Giuseppe  Lentini per contattare Parla Vincenzo affinchè si facesse trovare al negozio dove lavorava la figlia. Seppure nel corso della telefonata gli interlocutori non facessero mai espresso richiamo a Parla Vincenzo, il riferimento a quest’ultimo risultava evidente allorchè, subito dopo, Lentini Giuseppe contattava Parla Vincenzo con il quale concordava un appuntamento per le 12:30 nel luogo predetto. Poco dopo, Lentini Giuseppe contattava Blando Domenico per confermargli che l’appuntamento era stato fissato per le 12:30. Alle successive ore 12:27 circa, Parla Vincenzo raggiungeva il negozio dove lavorava la figlia, alla quale consegnava il proprio smartphone e, nello stesso frangente, Blando Domenico lasciava il suo telefono cellulare all’interno del proprio veicolo. Seguivano ulteriori contatti la mattina del 14 ottobre 2023  e quello stesso giorno alle ore 11:17 circa Blando Domenico raggiungeva l’abitazione di Parla Vincenzo, dove i due si trattenevano a parlare per qualche minuto. Non appena terminato l’incontro con il Blando, Parla Vincenzo contattava mediante chiamata whatsapp Grillo Rocco, nel corso della quale gli comunicava di essersi visto con lo “zio” e concordava una consegna – ancora da definire nel dettaglio – per quella sera stessa di 200/250 grammi di sostanza stupefacente. Il Parla raccomandava al suo interlocutore di fare attenzione alla qualità della merce, facendo riferimento ad una precedente consegna di sostanza stupefacente di qualità non ottimale. Tale raccomandazione veniva ribadita in un successivo contatto tra le parti, in cui Parla richiedeva al Grillo di dare istruzioni affinchè la merce destinata al Blando non fosse di qualità pari a quella di una precedente fornitura. Nel corso del dialogo Grillo Rocco esprimeva il proposito di essere presente all’incontro, su cui il Parla opponeva qualche resistenza. Infine i due concordavano di vedersi assieme a Favara. Poco prima di raggiungere il luogo dell’appuntamento, Parla Vincenzo effettuava alcune videochiamate a Grillo Rocco, con il quale concordava di vedersi direttamente a Favara  e insisteva con il suo interlocutore per far sì che il corriere rispettasse i tempi cli consegna concordati. Come da programma, alle ore 19:24 circa, Parla Vincenzo raggiungeva l’area adibita a posteggio del supermercato “Lidl” sito a Favara in via Cap. Callea e immediatamente contattava Lentini Giuseppe con il chiaro intento cli avvisare Blando Domenico di essere arrivato nel luogo. Il Lentini rispondeva di essere fuori sede e che avrebbe provveduto a contattare terza persona. Subito dopo il Lentini contattava Blando Domenico riferendogli ‘vedi che c’è Enzo là alla Lidl’. Alle ore 19.36, non avendo ricevuto ancora riscontro, Parla Vincenzo contattava di nuovo Lentini Giuseppe, il quale si limitava a dire che l’interessato, ovvero Blando Domenico, ” … sta arrivando … “. Effettivamente, dopo pochi minuti, sopraggiungeva Blando Domenico, al quale Parla Vincenzo riferiva che il corriere sta arrivando chiedendogli di aspettare in macchina. Poco dopo, arrivava Grillo Rocco che comunicava a Parla Vincenzo il prezzo della merce, ovvero 6.500 euro, comprensivo del compenso di 100 euro a lui spettante per l’intermediazione. Da tali dati si evince che il quantitativo di sostanza stupefacente pronto per la consegna al Blando era di 200 grammi di cocaina al prezzo di 32 euro al grammo. Immediatamente dopo, si avvicinava nuovamente il Blando che riprendeva il Parla per il suo modo di agire e, in particolare, per aver avuto ulteriori contatti con Lentini Giuseppe nonostante avessero già concordato luogo e orario dell’incontro preoccupandosi di possibili attività cli indagine. Al contempo, Blando Domenico consegnava la somma pattuita, comprensiva sia della quota da consegnare a Grillo sia della parte di denaro spettante a Parla. Non appena Blando Domenico si allontanava, Parla Vincenzo consegnava a Grillo Rocco la somma concordata”.

LE DICHIARAZIONI DEL PENTITO QUARANTA

Giuseppe Lentini, questo è certo, da tempo era finito al centro delle attenzioni degli investigatori. Almeno dal giugno del 2018 quando il collaboratore di giustizia favarese Giuseppe Quaranta sottoscrisse, sollecitato dalle domande del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Claudio Camilleri, un verbale composto da 103 pagine più un album fotografico di 26 pagine contenente 36 fotografie di persone “sensibili”, ossia oggetto di investigazioni.

Questo il passaggio cruciale: “Alla foto nr. 25 riconosco una persona di cui non ricordo il nome che sta sempre assieme a Domenico e Giuseppe Blando, in buoni rapporti con l’Ufficio tecnico del Comune di Favara come riferitomi da Blando il quale mi ha fatto presente come questi sarebbe stato in grado di procedere ad eventuali facilitazioni in quegli uffici”. L’ufficio dà atto che la foto ritrae Lentini Giuseppe, nato ad Agrigento nel giugno 1976”.

Come detto in precedenza, al netto delle indagini e delle eventuali responsabilità, rimane certamente un problema quantomeno di opportunità. E in provincia di Agrigento, ormai con una certa frequenza, assistiamo ad un trend che non bisogna certamente sottovalutare e che vede una sempre più “vicinanza” tra esponenti del mondo politico e quelli della criminalità più o meno organizzata.

IL CASO CANICATTI’

Negli scorsi giorni, ad esempio, il sindaco di Canicattì Vincenzo Corbo ha chiesto le dimissioni del vicepresidente del Consiglio comunale Giuseppe Alaimo. Quest’ultimo, giovane e rampante politico in quota Democrazia Cristiana, è imputato a Caltanissetta nell’inchiesta “Ianus”, sui clan gelesi. Alaimo, cugino di Gioacchino Giorgio (anche lui coinvolti nell’operazione su Villaseta e Porto Empedocle), è accusato di aver acquistato cocaina, al fine di farne cessione a terzi, da Mirko Rapisarda (considerato il tramite del clan Rinzivillo con quello catanese dei Cappello) e Giuseppe Pasqualino, considerato il luogotenente del nuovo reggente del clan Rinzivillo, Giuseppe Tasca. Il prossimo 14 febbraio è in programma la prima udienza preliminare.

Ed è proprio di Canicattì Gioacchino Amico finito al centro di una maxi-inchiesta denominata “Hydra” condotta dalla Procura della Repubblica di Milano guidata da Marcello Viola, che teorizza l’alleanza tra mafia, camorra e ndrangheta, una super-mafia che operava in Lombardia, pronta a condizionare politica, affari e vivere civile.

La politica era il suo pallino sin da giovane  – raccontano le cronache – e aveva tentato, senza molto successo, ad ottenere un posto al Consiglio comunale di Canicattì. Era il 2016 e Gioacchino Amico si era candidato con il Movimento Fare guidato allora dall’ex sindaco di Verona Flavio Tosi. Ma andò male. Nelle oltre duemila pagine di ordinanza il suo nome compare continuamente e c’è di tutto. Traffico di droga, estorsioni, appalti, legami con la politica, addirittura il presunto coinvolgimento in un omicidio (“lupara bianca”) e il ruolo di vertice nella “super cosa”.

Gioacchino “Iachinu” Amico, 39 anni, ha percorso con successo molteplici tragitti non tutti nel senso indicato dalla legalità. Dalle truffe in provincia di Agrigento per ottenere prestiti (fu arrestato nel 2010 nell’operazione Cash della Squadra mobile) ad un ruolo di primo piano nel clan camorristico Senese, la famiglia riconducibile al figlio di “Michele o pazz”. Almeno è questa l’ipotesi avanzata dagli inquirenti che hanno indagato su di lui.

Amico, insieme al canicattinese Raimondo Orlando, viene fotografato in un ristorante in via delle Coppelle. E Amico, intercettato, non nasconde le sue ambizioni politiche nella sua città: “Il prossimo anno abbiamo le comunali a Canicattì e ci facciamo la lista” – dice.  Ed in effetti, Amico la lista l’ha fatta piazzando due suoi fedelissimi: Maria Marino e Raimondo Orlando entrambi oggi indagati nell’inchiesta Hydra. Nel 2021, anno delle comunali a Canicattì, Maria Marino e Raimondo Orlando si sono candidati insieme con la lista “Facciamo squadra per Canicattì”.

POLITICA E MANDAMENTO DI LUCCA SICULA

Da Canicattì a Villafranca Sicula dove il sindaco, il farmacista Gaetano Bruccoleri, è indagato per scambio elettorale politico-mafioso. La vicenda è emersa a margine dell’operazione sul mandamento mafioso di Ribera/Lucca Sicula. Anche qui, al netto delle valutazioni investigative, si pone un problema di opportunità. L’allora candidato sindaco avrebbe incontrato più volte noti esponenti della mafia locale come testimoniato dalle numerose annotazioni di servizio finite agli atti dell’inchiesta. A partire dal boss Giovanni Derelitto, storico capo della famiglia mafiosa di Burgio, ma anche Alberto Provenzano, ritenuto uomo d’onore della stessa cosca. Nella stessa inchiesta è coinvolto anche un altro politico locale, il consigliere comunale di Lucca Sicula Gabriele Mirabella. Nel 2018 aveva tentato il grande salto in politica candidandosi a sindaco, dopo aver ricoperto l’incarico di vicesindaco e assessore, perdendo le elezioni con uno scarto di appena 38 voti. Uomo delle istituzioni e volto noto della politica del paese ma anche genero del boss Salvatore Imbornone, finito in manette con l’accusa di essere tornato nuovamente alla guida del mandamento dopo aver scontato una condanna a dieci anni. Mirabella è a processo per favoreggiamento. Non meno di sette mesi fa a Ribera si è dimesso il presidente del consiglio comunale Vincenzo Costa. Diverse le telefonate e gli incontri tra il politico e il boss Domenico Friscia, ritenuto l’erede del capomafia Salvatore Di Gangi alla guida della cosca di Sciacca. Secondo l’attività investigativa della Guardia di Finanza coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Sergio Demontis, sarebbe stato proprio l’uomo delle Istituzioni a richiedere l’intervento del capomafia su due dipendenti del comune di Sciacca addetti al mantenimento e alla custodia dei cani randagi. Una campagna elettorale, quella del 2022 a Sciacca, di grande fermento. Erano giorni frenetici, ricerche di sostegno e voti sul territorio. E secondo quanto emerso dall’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo sono stati diversi i candidati al consiglio comunale che si sono rivolti alla locale famiglia mafiosa guidata dal boss Domenico Friscia. Per il gip Fabio Pilato non è stato possibile formulare la contestazione del reato di scambio elettorale politico-mafioso in assenza della certezza di una corrisposta promessa o della consapevolezza che davanti ci fosse un esponente del clan mafioso. È il caso, ad esempio, delle candidate al consiglio Silvana Friscia (nella lista dell’allora candidato sindaco Mangiacavallo, non eletta) e di Carmela Santangelo (eletta, candidata a supporto di Ignazio Messina attuale presidente del Consiglio comunale). Ai domiciliari, invece, finì l’aspirante consigliere Vittorio Di Natale, 49 anni, che nonostante molteplici incontri col boss non venne eletto.

IL CASO PALMA E LICATA

Andando a ritroso (non troppo) nel tempo troviamo altri esempi. A Palma di Montechiaro – secondo l’inchiesta Oro Bianco – il paracco stiddaro dei Pace riuscì ad eleggere al consiglio comunale un proprio capodecina. Si tratta di Salvatore Montalto, esponente dell’Udc e dipendente dell’Unicredit, morto in carcere dopo la condanna in primo grado.

Da Palma di Montechiaro a Licata dove un altro consigliere comunale – Giuseppe Scozzari – è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Scozzari, dipendente dell’Asp di Agrigento, fu arrestato nell’ambito della maxi operazione “Assedio” poiché si sarebbe messo a “disposizione” del boss Angelo Occhipinti garantendogli “corsie preferenziali” all’interno dell’ospedale di Licata.

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Redazione