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Operazione Leonidi, sventata guerra tra clan: 9 fermi tra Catania e Agrigento (vd e ft)

Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, oltre 100 Carabinieri hanno dato esecuzione, nella Provincia di Catania e in quella di Agrigento, ad un decreto di fermo di indiziati di delitto emesso dal Pubblico Ministero nei confronti di 9 soggetti, alcuni dei quali legati anche da vincoli di parentela ad esponenti di vertice della famiglia “Santapaola-Ercolano”, poiché gravemente indiziati, allo stato degli atti e in relazione ad una fase processuale che non consente l’intervento delle difese, dei delitti di Associazione di tipo mafioso, detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, detenzione e porto illegale d’arma da fuoco, con l’aggravante di aver commesso il fatto con la finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa di appartenenza.

LE PERSONE FERMATE. Salvatore Assinnata, 51 anni; Giuseppe Cultraro, 43 anni; Sebastiano Ercolano, 20 anni; Davide Enrico Finocchiaro, 39 anni; Salvatore Finocchiaro, 47 anni; Pietro Salvatore Gagliano, 27 anni; Salvatore Poidomani, 52 anni; Antonino Razza, 36 anni; Samuele Romeo, 24 anni. 

L’odierno provvedimento è frutto di una indagine avviata nel maggio dello scorso anno, coordinata da questa Procura Distrettuale e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania: recenti risultanze investigative facevano emergere la pianificazione, in stadio avanzato, di un attentato omicidiario ai danni di Pietro Gagliano(soggetto indicato nelle conversazioni degli indagati come appartenente al contrapposto clan “Cappello – Bonaccorsi”) ad opera di alcuni personaggi di spicco dell’associazione mafiosa “Santapaola-Ercolano”. 

In particolare, il progetto sarebbe stato originato da quanto accaduto la sera del 21 ottobre 2023 nella zona del “Passereddu”, quartiere San Cristoforo, ove – all’esito di una discussione tra appartenenti ai citati sodalizi – Pietro Salvatore Gagliano avrebbe esploso 4 colpi di arma da fuoco all’indirizzo di appartenenti alla famiglia di “Cosa Nostra” catanese.  

Due di questi ultimi, rimasti illesi, si sarebbero immediatamente determinati a porre in essere una vendetta armata al fine punire l’affronto subito, nonostante indicazioni di segno contrario provenienti da altri esponenti del sodalizio investigato. 

Emblematico in tal senso il ruolo di Ercolano Sebastiano, figlio di Mario Ercolano, condannato all’ergastolo per omicidio, e nipote di Aldo (anch’esso detenuto, in espiazione di condanna per associazione mafiosa emessa a seguito del processo nato dall’operazione di polizia cosiddetta “Dionisio”). Entrambi i fratelli, Mario ed Aldo, sono cugini del più noto Aldo Ercolano, detenuto all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, ucciso il 5.1.1984, a sua volta figlio di Giuseppe Ercolano, sposato con Grazia Santapaola, sorella di Benedetto, capo storico della famiglia. 

Secondo quanto emerso nelle indagini, Ercolano Sebastiano, per lavare l’onta subita e riaffermare la “credibilità” della famiglia di Cosa Nostra etnea, sarebbe stato uno degli ideatori ed organizzatori del progetto, spingendosi sino ad effettuare un sopralluogo presso l’immobile ove si nascondeva Gagliano, onde valutare in prima persona il miglior modus operandi che avrebbe garantito agli esecutori materiali di poter attingere senz’altro la vittima e, in tempi brevissimi, fuggire dai luoghi, eliminare tracce di residui di arma da sparo, quindi recarsi presso un locale notturno in modo da precostituirsi un alibi.

Nel complesso, l’attività investigativa, condotta e finalizzata grazie ad attività tecnica e ai serrati riscontri sul territorio, sarebbe riuscita a dimostrare il tentativo degli indagati di riorganizzare gli assetti dei gruppi dell’associazione mafiosa “Santapaola – Ercolano”, duramente colpita nel tempo dall’incessante azione repressiva della magistratura e delle forze di polizia. 

Il giovane Sebastiano Ercolano avrebbe cercato di prendere le redini dell’associazione, sempre più concentrata a reperire sia le risorse finanziarie (dando nuovo slancio ai business criminali, derivanti per lo più dall’attività di spaccio di ingenti quantità di cocaina, hashish e marijuana), sia le armi necessarie a rafforzare la capacità d’intimidazione e a contrastare le consorterie rivali, così come ampiamente documentato dall’indagine.

Risultava in tal senso allarmante il numero di armi nella disponibilità dei soggetti investigati, la capacità degli stessi di munirsi di sempre nuove armi più performanti e l’esistenza di un mercato assolutamente fiorente e trasversale in quanto capace di soddisfare la domanda di tutti i sodalizi mafiosi, senza differenze di Clan. 

Operazione Leonidi, sventata guerra tra clan: 9 fermi tra Catania e Agrigento

Nel corso dell’attività di indagine più volte sarebbe stato possibile apprezzare una netta distinzione tra l’azione della “vecchia mafia”, dei “grandi” (ovvero dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l’azione della “mafia giovane”, spregiudicata, irruente, avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall’altro.

È emersa in particolare la posizione di Davide Enrico Finocchiaro, gravemente indiziato, allo stato, di essere responsabile dello storico gruppo del Villaggio Sant’Agata, che avrebbe più volte rivendicato con orgoglio la propria appartenenza a Cosa Nostra catanese anche in quanto espressione di un gruppo “insignito di medaglie” ovvero “i morti, gli ergastolani”, volendo alludere ai sodali uccisi e agli omicidi commessi dal gruppo, così involontariamente ribadendo e confermando che il credito mafioso derivava in primis dalla potenza militare, dalla capacità di uccidere, dalla capacità di affrontare il carcere e scontare l’ergastolo, senza farsi fiaccare dalla carcerazione e, soprattutto senza collaborare con la giustizia.

Le penetranti attività investigative consentivano inoltre di apprezzare le interazioni tra vari gruppi della famiglia di Cosa Nostra etnea nonché tra detti gruppi e Clan antagonisti, rivelando in più momenti gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una “corsa alle armi”.

A tal riguardo va evidenziato che proprio a margine di alcuni di questi momenti di fibrillazione venivano condotte delle attività di riscontro e controllo e, in particolare in data 19 ottobre 2022, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Catania traevano in arresto in flagranza per il delitto di “detenzione illegale di armi e munizioni”, un 35enne catanese già noto alle Forze dell’Ordine e intraneo al “gruppo Nizza” della famiglia “Santapaola-Ercolano”. Nel frangente i militari fermavano l’uomo in viale Moncada, ove veniva trovato in possesso di un revolver Franchi, con caricatore inserito e 9 colpi calibro 38 special all’interno, nascosto nella cinta dei pantaloni. Nel medesimo contesto, gli operanti effettuavano perquisizione all’interno di un locale destinato alla raccolta dei terminali della rete fognaria di due scale di una stessa palazzina, ove rinvenivano 5 fucili da caccia, di cui tre cd “a canne mozze”, poiché artigianalmente modificati, 1 pistola mitragliatrice di provenienza cecoslovacca, 1 pistola mod. Glock modificata, 352 munizioni di vaio calibro, circa 6 chilogrammi di hashish suddiviso in panetti, un giubbotto antiproiettili, un lampeggiante blu per auto, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento, tra cui scaldacollo e guanti in pile. 

Operazione Leonidi, sventata guerra tra clan: 9 fermi tra Catania e Agrigento

Da ultimo, nell’ambito dello stesso contesto investigativo, il 20 novembre scorso, i Carabinieri traevano in arresto, per “detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente” e “resistenza a pubblico ufficiale”, due soggetti i quali, all’esito di un inseguimento in territorio di Canicattì, venivano bloccati e trovati in possesso di circa 1 chilogrammo di cocaina, costituente fornitura ricevuta appena un’ora prima nel capoluogo etneo  e consegnatagli da alcuni dei destinatari del decreto di fermo di cui si è detto in premessa. 

I 9 destinatari di fermo, a seguito di intensa attività info-investigativa e di ricerca sul territorio attuata dai Carabinieri, venivano rintracciati  e condotti presso istituti penitenziari di questo capoluogo, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria che ha convalidato il fermo per Antonino Razza – che resta in carcere – , disponendo invece per gli altri 8 soggetti la misura della custodia cautelare in carcere. 

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Redazione