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Mafia, Paparcuri lascia il bunkerino: “Palazzo dei veleni”

“In questo luogo ci ho vissuto per 42 anni, ho conosciuto straordinarie persone, ho rischiato di morire, ho ripreso mettendo da parte le tante delusioni che ho dovuto ingoiare. E mai ho detto ‘non mi sembra l’ora che me ne vado in pensione’. Il mio sogno era che da morto o poco prima di morire mi avrebbero portato li’ per un ultimo saluto. Ma alla luce delle ultime vicende devo confessare che adesso lo odio e non ne voglio piu’ sentire parlare. Era e rimarra’ per sempre il palazzo dei veleni”. Giovanni Paparcuri, sopravvissuto alla strage Chinnici e collaboratore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, custode del ‘bunkerino’ al Palazzo di giustizia di Palermo con la sua eredita’ morale, di memoria e documenti, se ne va. Lancia queste parole amare insieme a una foto dell’edificio del tribunale avvolto dalla notte e annuncia che si tira indietro. Parla di porte chiuse, veleni e gelosie, addensatesi su quelle stanze, una delle quali contiene, addossata alla parete poco prima di entrare nel ‘bunkerino’, meta di studenti, turisti, cittadini, la copia intera degli atti processuali del Maxiprocesso.

“Non e’ da oggi – spiega Paparcuri – che esistono svariati problemi, ma per amore di quei giudici sono tornato sempre sui miei passi”. L’incarico di custode di questa preziosa memoria, ricorda Paparcuri, lo ha ricevuto il 16 dicembre del 2015. Ma ora afferma: “Io non ci saro’ piu’, ma ci tengo a precisare che non e’ una resa, mi costa parecchio abbandonare, ma ribadisco che non e’ una resa, ma devo farlo, perche’ sono stanco, sono stanco di chiedere continuamente scusa, sono stanco di leggere certe cose, stanco della tanta ipocrisia e della falsa solidarieta’, stanco di difendermi, stanco delle invidie, stanco dei sospetti, stanco delle lamentele, stanco di raccontare, stanco di tutto, comunque e’ da parecchio che ci penso”. Scrive, incalza, perche’ si sarebbe aspettato “un incontro de visu con i vertici per un chiarimento definitivo e risolutorio, invece silenzio assoluto, salvo rare telefonate di soli rimproveri”. E accusa: “E’ stato tutto un susseguirsi di ostacoli”.

“Mi hanno anche messo una persona a fianco – prosegue Paparcuri – che doveva soltanto aiutarmi nel gestire le prenotazioni, invece e’ diventato anche un censore e controllore dei miei ricordi e invadente nei miei rapporti con le persone. Che tra l’altro, non e’ nemmeno un collega, ne’ dell’ambiente e tanto altro ancora… Intanto rinfresco la memoria, che non guasta, con alcune foto scattate nel 2009 pochi giorni prima che andassi in pensione: dimostrano, qualora ce ne fosse bisogno, che appunti, libri, apparecchiature e altro ancora, che ho riportato al museo Falcone Borsellino, li ho sempre custoditi io. Altri ancora sono esclusivamente miei, cioe’ regali del dottor Falcone, altri oggetti e documenti solo io sapevo dove erano custoditi. Sempre per cronaca: subito dopo il suo insediamento, il dottor Natoli quale presidente della Corte d’Appello, mi ha testualmente detto: “Giovanni sei l’unico a fare rinascere quei luoghi”. Il 16 dicembre del 2015 il dottor Matteo Frasca quale presidente distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati mi ha ufficialmente dato l’incarico”. Infine, si rivolge a quanti hanno espresso sconcerto per questa scelta: “La vita e’ fatta di scelte, anche dolorose, e quando arriva l’ora non puoi tirarti indietro, ed io scelgo da uomo libero consapevole di avere fatto il mio dovere fino in fondo. Chiudo esortandovi a venire, gli uomini passano, ma la vita continua”.

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Redazione