“E’ impensabile che lo Stato dia dei redditi, fondamentalmente, con una autocertificazione. Dopodiché e’ chiaro che se una persona è onesta rispetta le regole. Ma non ci si può aspettare che quest’ultimo vengano rispettate da un determinato tipo di persone. Li si invita a nozze facendo un reddito di cittadinanza senza presentare dei documenti”.
Lo afferma in una intervista all’Adnkronos, Flavia Famà, figlia dell’avvocato penalista Serafino, molto noto negli anni novanta a Catania, che fu barbaramente assassinato per ‘mano mafiosa’ la sera del 9 novembre 1995 con sei colpi di pistola calibro 7.65 da un commando di uomini che agirono a volto scoperto, in merito a quanto scoperto dai finanzieri del comando provinciale di Palermo che hanno individuato 145 soggetti con precedenti condanne per mafia che hanno percepito il reddito di cittadinanza non avendone diritto.
Per Flavia Famà “È proprio il meccanismo del reddito di cittadinanza che è sbagliato e a me non stupisce. Come se a un delinquente, ad un malavitoso gli lasci una casa con la porta aperta e gli dici che è piena di gioielli. Ribadisco è il meccanismo che è sbagliato”.
“Fa rabbia piuttosto – continua Famà – come molte vittime della criminalità o di maltrattamenti, per accedere a degli aiuti economici da parte dello Stato devono presentare una documentazione sino al terzo grado di parentela e magari hanno dei parenti ‘lontani’ che non frequentano, non sentono, non sanno neppure l’esistenza e che non sono perfettamente ‘puliti’ e non hanno diritto ai benefici previsti dallo Stato per le vittime della mafia. Questo è un paradosso”.