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Le pistole in auto e le chat con il detenuto: tre indagati tornano liberi, un altro resta in carcere 

Due indagati tornano in libertà, un altro viene sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora mentre un quarto resta in carcere. Lo ha disposto il gip del tribunale di Agrigento, Micaela Raimondo, a margine dell’udienza di convalida degli arresti dei quattro agrigentini fermati negli scorsi giorni a Porto Empedocle e trovati in possesso di due pistole perfettamente funzionanti.

Il giudice, dopo aver convalidato il provvedimento, ha applicato la custodia in carcere per il solo Danilo Barbaro, 39 anni (difeso dall’avvocato Giacomo Cortese). Nessuna misura cautelare, invece, per Simone Sciortino, 23 anni (difeso dall’avvocato Teresa Alba Raguccia), e Antonio Guida, 18 anni (difeso dall’avvocato Salvatore Butera). I due giovani, dunque, tornano in libertà. Lascia il carcere anche Andrea Sottile (difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano), 26 anni, a cui però viene applicato l’obbligo di dimora nel comune di residenza. La misura cautelare imposta dal gip non ha a che fare con le armi rinvenute ma è collegato a quanto accaduto durante la perquisizione domiciliare a cui Sottile è stato sottoposto. Il 26enne, infatti, è stato denunciato per resistenza a pubblico ufficiale per aver minacciato di morte gli agenti di polizia che gli stavano controllando l’abitazione. L’unico indagato a rimanere in carcere è Barbaro, proprietario dell’auto in cui sono state rinvenute le due pistole. Oltre al reato di detenzione illegale di armi gli viene contestata la ricettazione. Una delle due pistole aveva la matricola abrasa. A parere del giudice, invece, per gli altri tre indagati non sussistono gravi indizi di colpevolezza in relazione alle armi. In assenza dei risultati su armi ed eventuali conversazioni non c’è un collegamento diretto tra loro e le pistole.

Restano, comunque, ancora molte domande senza risposta. La prima è cosa ci facessero quattro persone armate in giro di notte in un altro comune (Porto Empedocle) diverso da quello in cui tutti risiedono. Il secondo elemento al vaglio degli investigatori, invece, è la presenza sul cellulare di uno degli indagati di una chat con messaggio vocale riconducibile a James Burgio, detenuto da alcuni anni ma raggiunto proprio nelle scorse settimane da una nuova ordinanza di custodia nell’ambito dell’inchiesta sui clan di Villaseta e Porto Empedocle. Burgio, in quest’ultima vicenda, è accusato di aver utilizzato cellulari in carcere per dare ordini e, addirittura, suggerire una gambizzazione di un esponente del clan rivale. 

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Redazione