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Inchiesta Hybris, droga al Bronx di Licata: chieste cinque condanne 

Il sostituto procuratore generale di Palermo, Francesca Lo Verso, ha avanzato cinque richieste di condanna nei confronti di altrettanti imputati coinvolti nello stralcio abbreviato dell’inchiesta Hybris, l’operazione che nel febbraio 2023 fece luce su un vasto traffico di stupefacenti con base nel quartiere Bronx di Licata. L’accusa, dunque, chiede di confermare la sentenza di primo grado con la quale nove mesi fa il gup Stefania Brambille aveva inflitto oltre mezzo secolo di carcere.

In particolare: 20 anni di reclusione a Michele Cavaleri, ritenuto al vertice del gruppo; 15 anni e 8 mesi di reclusione per Concetta Marino; 8 anni e 2 mesi di reclusione per Angelo Sorriso; 11 anni e 6 mesi di reclusione per Lillo Serravalle; 9 anni di reclusione per Ferdinando Serravalle. Il processo di secondo grado si sta celebrando davanti i giudici della prima sezione della Corte di Appello di Palermo presieduta da Mario Conte. Il prossimo 14 gennaio la parola passerà alle difese con le arringhe degli avvocati Giovanni Castronovo e Giuseppe Vinciguerra. L’11 febbraio, invece, sono previste quelle degli avvocati Walter D’Agostino, Gaspare Lombardo e Debora Speciale. 

Le indagini, coordinate dai pm della Dda di Palermo Francesca Dessì e Pierangelo Padova, culminarono nel febbraio 2023 con venticinque arresti eseguiti dalla Squadra mobile di Agrigento. L’impianto accusatorio, che ha retto al vaglio del primo grado di giudizio, ipotizza l’esistenza di un’associazione a delinquere, al cui vertice c’è Michele Cavaleri, finalizzata al commercio di droga in più province della Sicilia. La base operativa della banda era il quartiere Bronx di Licata, un vero e proprio fortino della droga controllato da vedette e telecamere di sorveglianza. Un intero quartiere che sembrava inespugnabile ma che invece è stato letteralmente scardinato da un’intensa attività investigativa durata quasi un anno e mezzo.

Perché a controllare e monitorare ciò che avveniva nel quartiere non erano soltanto i poliziotti ma anche gli stessi indagati. Il gruppo, capeggiato e diretto da Michele Cavaleri, aveva infatti allestito un vero e proprio servizio di vigilanza sul territorio: telecamere installate nei vari punti di accesso oltre a vedette e sentinelle pronte a far scattare l’allarme all’eventuale arrivo delle forze dell’ordine. E durante le indagini è emerso come il sodalizio controllasse, ad esempio, gli spostamenti delle pattuglie arrivando anche a contare le automobili e ipotizzare un blitz.

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Redazione