Quarantacinque anni fa veniva ucciso dalla mafia Piersanti Mattarella, il presidente della Regione dalle “carte in regola. A lui l’omaggio stamane a Palermo e nella natia Castellammare del Golfo. Una corona di fiori nel luogo dell’agguato, accanto all’abitazione di via Liberta’, nel capoluogo siciliano, alla presenza di familiari e delle autorita’. Omaggio anche a Castellammare del Golfo dove Piersanti Mattarella e’ nato il 24 maggio del 1935; alle 11 corteo che, dall’ingresso del cimitero, raggiunge la chiesetta per deporre una corona d’alloro sulla tomba. Omicidio politico lo fu certamente, politico e anche mafioso. Ma di matrice mafiosa, non di terrorismo politico.
Quarantacinque anni dopo il delitto del 6 gennaio del 1980, si scrive l’ennesimo capitolo che fa ripartire l’indagine quasi da zero, per quel che riguarda le responsabilita’ nell’esecuzione materiale: i killer, secondo la procura di Palermo, che li ha iscritti nel registro degli indagati, furono due uomini di Cosa nostra, Antonino Madonia (Nino) e Giuseppe Lucchese, detto il Lucchiseddu. Assassini fidati, rampolli di famiglie di mafia come Nino Madonia, figlio di Francesco, boss di Resuttana morto in cattivita’ e fratello di altri due – come lui – ergastolani, Giuseppe “Peppuccio” Madonia, che assassino’ fra gli altri il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, e Salvino Madonia, che tra le sue vittime ebbe anche Libero Grassi. L’altro, il Lucchiseddu, di Brancaccio, e’ fratello di un altro boss, Antonino, ed e’ sepolto pure lui dagli ergastoli.
A uccidere il presidente della Regione siciliana, fratello dell’attuale presidente della Repubblica, sarebbero stati loro due: lo dicono da sempre alcuni pentiti, che gia’ nel passato avevano puntato il dito contro il figlio del capomafia “competente per territorio” su via Liberta’, luogo in cui Piersanti Mattarella venne assassinato; lo dice la sua somiglianza con il terrorista nero Giusva Fioravanti, che fu processato e assolto dall’omicidio (cosi’ come Gilberto Cavallini, anche lui dei Nar). Lo dice anche una foto tratta dagli archivi del Giornale di Sicilia e ritrovata nei mesi scorsi dalla Dia, l’inquadratura di un’auto ripresa sul luogo del delitto e i cui occupanti sarebbero riconducibili al clan di Resuttana: una presenza inquietante, diretta a capire, come spesso avveniva, a seguire le fasi successive all’attentato eccellente.
L’individuazione di Madonia e Lucchese non esclude del tutto la pista nera (comunque non percorribile piu’ nei confronti di Fioravanti e Cavallini, a causa della loro assoluzione, definitiva da un quarto di secolo) ma apre uno scenario tutto siciliano, un grumo di interessi fra politica e imprenditoria colluse e ambienti di Cosa nostra, in cui spiccava il politico mafioso (o mafioso politico) per antonomasia, Vito Ciancimino, uno dei tanti depistatori delle indagini, con le sue confidenze ai questori dell’epoca, specialita’ dell’ex sindaco che, un paio di anni dopo Mattarella, ci riprovo’ con Pio La Torre, il cui omicidio venne inquadrato come un “affare interno al Pci”, la famosa “pista interna” rivelatasi una bufala. Ciancimino era il piu’ corleonese dei corleonesi, un clan sanguinario e rampante che all’epoca non ancora alla guida della mafia palermitana, controllata dal triumvirato Bontate-Inzerillo- Badalamenti.
La vecchia mafia, che con manovalanza e strategia di assalto allo Stato, tipica dello stile arrembante di Toto’ Riina e del cognato Leoluca Bagarella, aveva scatenato l’offensiva assassinando nel 1979 il giornalista Mario Francese, il segretario provinciale della Dc Michele Reina, il vicequestore Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova e, il 6 gennaio 1980, Mattarella, a cui fecero seguito il capitano Basile e il procuratore Gaetano Costa. Piersanti Mattarella, il presidente della Regione dalle “carte in regola”, pago’ la politica nuova, la volonta’ di rinnovare la Dc e le aperture al Pci, ma soprattutto la sfida al meccanismo del controllo militare di appalti e lavori pubblici. Inutili i suoi appelli alle massime cariche dello Stato, al presidente Pertini come al ministro degli Interni Virginio Rognoni, ai quali cerco’ di far capire la gravita’ e la specificita’ della situazione siciliana. Il rinnovamento di Piersanti Mattarella andava fermato con un delitto eclatante, in pieno centro di Palermo, sotto l’abitazione del presidente e del fratello futuro capo dello Stato, tra i primi a soccorrere il congiunto morente. La voglia di sicurezza e di normalita’ anche nella vita di tutti i giorni, aveva portato Piersanti a lasciare libera la scorta, quella domenica dell’Epifania del 1980. E i killer lo sapevano e lo aspettavano, con freddezza: nonostante una delle due pistole si fosse inceppata Madonia ebbe il tempo di tornare all’auto con cui era arrivato sul luogo del delitto, di farsi passare una micidiale Smith&Wesson da Lucchese e di tornare a finire il proprio compito. La vedova, Irma Chiazzese, indico’ come killer Giusva Fioravanti, forse tratta in inganno dalla somiglianza con Nino Madonia. Oggi quella somiglianza di 45 anni fa e’ un ulteriore indizio contro il killer di mille altri delitti.