“Agrigento capitale della cultura 2025” è diventato un ring dove a scontrarsi sono due scuole di pensiero diverse, due concezioni di amministrazione della cosa pubblica, dell’essere e del fare. Si perché chiunque guardi con l’oggettiva lente d’ingrandimento al dibattito pubblico emerso in larga scala anche a livello nazionale, scevro da appartenenze di partito, interessi personali e inutili farneticazioni, si accorge prima di tutto di questo.
Ci si chiede perché quando c’è di mezzo Agrigento ci sia sempre così tanto clamore, frastuono mediatico. C’è in atto una congiura contro una delle ultime Città d’Italia o esistono evidenti responsabilità sulla gestio?
Se da un lato viene sollevata, specie dai cittadini stessi, la rabbia e la critica per qualcosa di davvero importante non in grado di essere gestita come meriterebbe, con effetti negativi a cascata sull’immagine di Agrigento, classe politica e istituzioni, dall’altra vi è la consapevolezza che comunque bisogna andare avanti decantando un certo impegno e un certo obiettivo finale. Salvo il tempo dell’anno restante, ad oggi, purtroppo, la cronaca delle cose parla di: cifre sprecate (per ultime le 10 mila euro al mese per un ufficio informativo mai avviato), di progetti garantiti rimasti morti e ormai inattuabili (caso Lampedusa e Ribera tra i più noti), del marketing digitale inefficace, di nomine non sempre allineate alle professionalità che servono per fare una vera capitale della cultura italiana, di interrogazioni parlamentari, etc. Se questo ed altro si associa al quotidiano irrisolto (perfino per un’occasione del genere), con le discariche a cielo aperto, alle opere incompiute perfino piccole, alle condotte idriche colabrodo, a zone della città senza condotte fognarie, a frange di illegalità, all’incuria ed alla sporcizia, all’abbandono dei luoghi e alla loro manutenzione, ad una amministrazione comunale tra le più basse degli ultimi decenni per indice di gradimento, capite bene il cocktail devastante di storture che si innesca.
Senza entrare troppo nel merito di quanto la stampa nazionale, regionale e locale stia facendo emergere, ci si chiede se con ‘Agrigento capitale della cultura 2025’ l’attuale marginalità della Città e del suo comprensorio si sia trasformata o si stia trasformando in centralità, anche di natura economica ed infrastrutturale. Come sempre parlano i fatti e la concretezza delle azioni. Asserire una cosa non significa farla o averla fatta. Chiunque abbia a cuore le sorti di Agrigento auspica sicuramente la buona riuscita di ‘Agrigento capitale della cultura 2025’ e di tutto ciò di cui l’indotto può godere. Attenzione quindi a non scambiare le evidenze dei fatti di qualcosa che non sta andando, con le polemiche.
Che a parlare sia il presidente della Fondazione, il sindaco di Agrigento, il governatore della Regione, qualche rappresentante politico regionale o nazionale, non basta dire: “andrà tutto bene”, “si sta lavorando”, “è una scommessa che non possiamo perdere”. Non basta. Anche per questo adesso il ruolo del Prefetto di Agrigento Salvatore Caccamo dopo il tavolo di venerdì scorso in prefettura, può e forse deve diventare centrale per monitorare lo stato delle cose, come anche quello del Ministero della Cultura, padre della nomina su Agrigento. Proprio nelle scorse ore l’ex ministro del MiC Gennaro Sangiuliano, in riferimento ad un servizio di ‘Piazza Pulita’ su La7, ha dichiarato “se le cose stanno così è un’occasione persa e di questo mi dispiace”.
Al netto di quanto si è detto e si è fatto fino ad ora, probabilmente, dopo l’anno di eventi e riflettori puntati, quello che conta è portare al territorio non solo un flusso turistico ancora maggiore, ma il miglioramento dei servizi e l’apertura di vecchie e nuove infrastrutture, dei tanti spazi e luoghi annunciati ancora nel buio della trascuratezza. Insomma qualcosa che resti oltre. La città attende da troppo tempo, intanto vecchie e nuove generazioni sono andate altrove anche per questo.