C’é la cronaca della Sicilia con coppola e bocca cucita e ci sono giri di affari miliardari intorno a Matteo Messina Denaro.
Sono questi i due aspetti cardine del post arresto.
Ci sono le interviste agli anziani di Campobello di Mazara, che biascicano luoghi comuni in dialetto stretto. La desolazione di un paese sommerso e la descrizione più colorita dei ritrovamenti dentro i covi del boss.
É la cronistoria godibile ai più: Messina Denaro donnaiolo impenitente, che non era bello, ma che piaceva. Un dandy facoltoso, con l’orologio da 35 mila euro e lo shearling da 10 mila. Quisquilie se paragonate al patrimonio a disposizione del boss e che gli inquirenti stimano in quattro miliardi di euro. Soldi a mai finire, che fanno cumulo nei conti in tasca fatti alla mafia italiana, che muoverebbe affari stimabili nel 2% del Pil nazionale, quasi 40 miliardi di euro l’anno.
Ed é così che la mafia di Messina Denaro c’entra poco o nulla con il folclore degli anziani omertosi e con quella superficie di abiti di lusso e orologi di pregio. Solo la punta di un iceberg.
Non solo vezzi, quelli del boss di Castelvetrano, ma giri di soldi degni di un super imprenditore. Una punta di diamante su scala non solo nazionale. Questo pensano gli investigatori e su questo fronte indagano.
Proprio chi investiga, ripensa a un’intercettazione in carcere di Totò Riina. Il boss di Corleone, ormai vecchio, discutendo con un altro detenuto su Matteo Messina Danaro, si domanda che cosa abbia in testa. “L’eolico, biascica Riina. Ma cosa sarebbe? É elettricità?”
Il Capo dei capi fa difficoltà a comprendere la nuova marcia di Cosa nostra, ingranata dal padrino di Castelvetrano. Il racket delle estorsioni e lo spaccio di stupefacenti sono superati da logiche di alta imprenditoria, da grossi investimenti e da affari anche fuori dai confini italiani. L’eolico é il sogno futuristico di Messina Denaro, che fiuta all’istante il potenziale delle energie alternative ed inizia a investirvi i soldi della mafia. Danari sporchi già ampiamente riciclati negli appalti edili, nella grossa distribuzione, nelle grandi aziende agricole, nel settore dei rifiuti e in quello del turismo. La provincia trapanese é l’Eldorado di questo pezzo di Sicilia. Al centro tra l’agrigentino e il palermitano, ecco le terre di Trapani, un fiorire di hotel di lusso, cantine, aziende agricole, grosso movimento imprenditoriale. Un tripudio di ricchezza costruita “bene”.
Non più e non solo la mafia del reuccio di quartiere, che tiene sotto scacco i commercianti “chiedendo l’offerta per i carcerati” o dello spacciatore, che deve rendere conto alle cosche. Una mafia che diventa impresa di lusso, che impiega migliaia e migliaia di uomini e che per arrivare a tanto necessita di fitte reti di protezione.
Eccolo il Procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, che poche ore dopo l’arresto avverte: “C’è certa borghesia a proteggerlo”.
Dove per borghesia si pensa a tutto: medici, politici, avvocati, massoneria, pezzi grossi dell’economia e via dicendo.
Nella rete di lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, é chiaro che gli elementi chiave non sono quelli della mafia folcloristica: i pastori collusi, che proteggono i boss negli ovili o i vivandieri da fiction, che fanno un bunker sotto casa e lí custodiscono il boss, come fosse una reliquia. Anzi, certi investigatori radicati nel territorio non hanno dubbi: “La mafia trapanese, non é mafia di bunker e non genera collaboratori di giustizia”.
Messina Denaro, come ci disse, qualche anno fa, un carabiniere di Castelvetrano: “Si nasconde qua, sotto gli occhi di tutti, eppure non si trova. La gente di qua non lo fa trovare perché lui ai trapanesi li fa vivere bene: dà lavoro, non chiede il pizzo e se hai una villa sul mare i ladri non vengono, perché sanno che questo territorio non si tocca, perché è il territorio di Messina Denaro. Se fai un giro da queste parti e chiedi di ‘’Matteuccio’ molti te ne parleranno pure bene, perché lui, a modo suo, dimostra di avere a cuore il suo territorio, la sua gente. C’è chi si sente al sicuro finché Matteo sarà fuori e non dentro. Certo, l’impiegato dell’impresa tal dei tali non é direttamente mafioso, ma é probabile che quel posto lo abbia avuto grazie alla mafia, non grazie allo Stato.”
“Matteuccio” é anche, anzi soprattutto, l’assassino senza pietà, lo stragista, il miliardario, il padrone di un tesoro che non si calcola e che é custodito grazie al placet di grossi nomi. Su questo gli investigatori non hanno dubbi.
In uno dei tre covi, che in realtà sono case comuni, alla luce del sole, sono state trovate tante pietre preziose. “Quisquilie anche queste, sostiene qualcuno tra gli investigatori. Perché il grosso é da scoprire, vuoi da un punto di vista patrimoniale, vuoi da un profilo informativo”.
Si cerca il libro mastro, quello dei nomi e cognomi.
Messina Denaro, il giorno dell’arresto, aveva con sé un’agendina, vi erano degli appunti. Serviranno? Ed ancora, “i covi” potrebbero essere stati ripuliti? Non é escluso.
Le indagini proseguono coralmente, in campo i Carabinieri e anche la Polizia, che ieri a Campobello ha trovato un’altra abitazione riconducibile al boss.
Al momento solo due gli arresti: il boss e il suo autista. Pochissimi ancora gli indagati, almeno quelli noti.
“Se Matteo Messina Denaro parlasse, dice la nostra fonte investigativa, potrebbe rivelare nomi e segreti criminali ed economici, tali da sbrogliare matasse italiane lunghe decenni.”
Parlerà?