L’inchiesta ‘Zeus’ della Dda di Catania, che ha portato all’esecuzione di 24 misure cautelari contro i Cursoti-Milanesi, “ha dimostrato il monopolio esercitato dal clan sulle numerose piazze di spaccio del rione San Berillo Nuovo”, dove la cocaina arrivava direttamente da Napoli. Lo sostengono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catania, secondo i quali i gestori dello spaccio di droga sarebbero stati obbligati a rifornirsi di cocaina e marijuana da Carmelo Distefano, uno degli arrestati di oggi, assicurando al clan ingenti e costanti proventi che confluivano nella cassa comune dell’organizzazione gestita da quest’ultimo insieme con un altro degli arrestati, Natale Gurreri. Gli approvvigionamenti venivano effettuati a Napoli: i fornitori partenopei di cocaina erano alcuni pregiudicati del clan camorristico Sautto-Ciccarelli di Caivano. Gli inquirenti hanno ricostruito il traffico di cocaina sull’asse Campania-Sicilia, nell’ambito del quale sarebbe stato delineato il ruolo di Lorenzo Cristian Monaco e Luigi Scuderi, considerati dalla Dda “affiliati al clan Cappello-Bonaccorsi”. I due, secondo gli inquirenti, “avrebbero agito quali trafficanti di cocaina in joint venture con il clan di Caivano”. In questo quadro sono stati effettuati più sequestri di droga, tra cui quello relativo all’arresto del corriere napoletano Salvatore Sanges, avvenuto il 29 luglio del 2019: l’uomo fu trovato in possesso di tre chili di cocaina destinati al mercato catanese. Le indagini hanno inoltre ribadito la pericolosità del clan mafioso dei Cursoti-Milanesi, che aveva a propria disposizione armi da sparo per presidiare il proprio territorio e difendere i propri affari criminali da eventuali ingerenze da parte di gruppi mafiosi rivali. Tra le armi sequestrate all’organizzazione un fucile mitragliatore AK 47, completo di confezione di 50 cartucce calibro 7,62, due pistole e un fucile a canne mozze.
Nel corso del blitz la procura ha accertato che il clan dei Cursoti milanesi avrebbe esercitato il pieno controllo criminale sull’intero rione San Berillo Nuovo di Catania, comprese quelle parti del quartiere che, nel recente passato, erano passate sotto il controllo del clan Cappello-Bonaccorsi, come la zona di corso Indipendenza. Anni fa le fazioni dei gruppi contrapposti avevano delimitato le zone d’influenza con le bandiere, quella degli Stati uniti d’America per il gruppo dei Distefano (Sventra), mentre il gruppo di Rosario Pitara’ faceva sventolare quella del Milan. L’indagine, dei pm Assunta Musella e Tiziana Laudani e coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, ha verificato diversi momenti di fibrillazione interna al clan per la presunta ascesa criminale di Carmelo Distefano ai danni del gruppo storico facente capo a Rosario Pitara’, sfociati in una serie di episodi di violenza con l’utilizzo di armi da sparo. Nell’ambito della situazione di elevata fibrillazione creatasi, un componente del clan, Nicola Christian Parisi, agendo sotto l’egida di Pitara’ si sarebbe opposto all’organizzazione e delle “piazze di spaccio”. E in questo contesto di violenza, ricostruisce la Dda, e’ da inquadrare il tentato omicidio di un cognato di Parisi, Giuseppe La Placa che era rientrato nel clan Cursoti Milanesi, dopo essere transitato nella cosca Cappello-Bonaccorsi. Scarcerato il 24 agosto del 2018 dalla casa di reclusione di Rossano, dopo aver scontato una lunga pena detentiva, Carmelo Distefano, grazie al proprio carisma criminale sarebbe riuscito a compattare sotto la propria leadership le due fazioni familiari che costituiscono l’ossatura del clan, sedandone le tensioni interne e ridimensionando le presunte aspirazioni di vertice del Parisi, che si sarebbe poi allineato ai voleri del capocosca tornato in liberta’. Durante l’attivita’ la polizia ha anche sequestrato armi in dotazione al clan, compreso un fucile mitragliatore AK 47, con 50 cartucce calibro 7,62×39, due pistole ed un fucile con le canne mozzate. Infine, l’indagine ha accertato che parte dei proventi erano destinati al mantenimento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie di cui i capi del clan. E’ emersa la consuetudine delle ‘famiglie’ mafiose piu’ rappresentative del catanese di allestire bische clandestine con investimenti comuni e destinarne i proventi illeciti al sostentamento dei detenuti di maggior rango mafioso.